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DA CDP, FS E RAI A OPEN FIBER E GSE INCOGNITA ELEZIONI SU 63 PARTECIPATE

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Tanti sono i consigli d’amministrazione delle società pubbliche in scadenza, decisioni da prendere a breve Il peso delle consultazioni regionali ed europee e lo snodo di Cassa depositi e prestiti. Riflettori su Viale Mazzini
Sono 63 le società pubbliche partecipate che quest’anno cambieranno il consiglio di amministrazione. Ma sono tre quelle di cui già da tempo si è cominciato a discutere: Cassa depositi e prestiti, Ferrovie dello Stato e Rai. Tre pilastri che spostano equilibri importanti in termini di risorse, infrastrutture, cultura e informazione. Le decisioni andranno prese entro il primo semestre dell’anno, mentre si terranno alcune elezioni regionali e a filo delle europee di inizio giugno. Due appuntamenti che potrebbero incidere sugli equilibri politici all’interno del governo Meloni e dunque anche sulle sue scelte.
Oltre alle tre big andranno al rinnovo, tra le società direttamente partecipate dal Tesoro, Invimit (presidente Altieri Trifone, amministratrice delegata Giovanna Della Posta), Gse cioè il Gestore servizi energetici (presidente Paolo Arrigoni, amministratore delegato Vinicio Vigilante), Sogei (presidente Pasqualino Castaldi, amministratore delegato Cristiano Cannarsa), Sose (presidente Vincenzo Carbone, amministratore delegato Cristiano Cannarsa), Cinecittà (presidente Chiara Sbarigia, amministratore delegato Nicola Maccanico), Eur (presidente Enrico Gasbarra, amministratore delegato Angelo Maria Cossellu) e Mefop (presidente Mauro Marè).
Sempre entro l’anno in corso andranno rinnovati i cda di 48 società di secondo livello come Cdp Reti e Fintecna (Cdp), Enel X Way (Enel), Eni Energia Italia, Eni Fuel, Saipem (Eni), Busitaliasita Nord, FS Sistemi Urbani, Italferr, (Ferrovie), Acciaierie d’italia Holding e Corneliani (Invitalia), Iveco-oto Melara e Telespazio (Leonardo), Mps Covered Bond 2 (Mps), Nexive, Postel, Sda Express Courier (Poste), Auditel (Rai). Nuovi vertici anche per 5 società di terzo livello, tra queste Ansaldo Energia (limitatamente all’ad) e Open Fiber.
Banco di prova
Al centro di tutte le partite che contano nel Paese, Cassa depositi e prestiti sarà il banco di prova più difficile, così come lo è stato per tutti i governi che vi hanno dovuto provvedere. Per l’ultimo di questi, il governo Draghi, la scelta era sembrata quasi necessitata. Dario Scannapieco, da 14 anni vicepresidente della Bei, e già direttore generale Finanza e privatizzazioni del Tesoro, tra i fedelissimi dell’ex premier, sembrava predestinato. Non meno semplice sarà la partita per la presidenza, detenuta oggi da Giovanni Gorno Tempini, che all’epoca fu scelto dalla fondazioni bancarie azioniste di Cdp che nominano il numero uno praticamente all’unanimità. Le cronache di questi giorni riportano già le grandi manovre che sempre precedono il rituale della nomina.
Per il riservato Luigi Ferraris alle Ferrovie sarebbe naturale il rinnovo ma già da qualche mese il mondo politico sembra essere attraversato dall’idea di un cambio. A muoversi dietro le quinte sarebbe la Lega, decisa a imporre il proprio candidato. Ma i giochi sono aperti. Chiunque dal prossimo anno occuperà la poltrona di amministratore delegato deve far marciare il piano decennale che prevede 200 miliardi di investimenti. Ma c’è anche una buona fetta del Pnrr che ricade sulle spalle del gruppo. E se questo non bastasse, l’impegno assunto dal governo di realizzare 20 miliardi dalle privatizzazioni entro il prossimo anno mette le Ferrovie ai primi posti tra i possibili contributori.
La partita televisiva
La tv pubblica torna sotto i riflettori dopo appena un anno dalla nomina dell’ad Roberto Sergio e del direttore generale Giampaolo Rossi. Questo perché il mandato triennale dell’ex ad Carlo Fuortes è stato interrotto, l’anno scorso, dalle sue dimissioni. La scelta di Giorgia Meloni di affidare a Sergio l’anno di transizione, è nata insieme con l’idea che a prenderne il posto, da quest’anno, sia Rossi, uomo di fiducia da quando la premier era all’opposizione. E da quella sponda, nel 2021, vide estromettere proprio il suo consigliere Rossi dal cda della Rai, una mossa del governo Draghi facilitata dal patto tra Lega e Forza Italia. Nella conferenza stampa di fine anno il richiamo, fatto dalla premier, a quell’episodio ha indotto molti a pensare che la sua scelta è e resterà Rossi. Intanto Sergio non nasconde di averci preso gusto e la Lega lavora sottotraccia per far saltare di nuovo gli schemi.
Le regole attuali
L’anno scorso il governo è intervenuto sulle partecipate in primo luogo riorganizzando il ministero dell’economia e prevedendo l’istituzione di un nuovo dipartimento che assorbe alcune competenze in precedenza attribuite al dipartimento del Tesoro. La direzione è stata affidata a Marcello
Sala. L’altra novità riguarda le società quotate, per le quali è stato previsto che il Mef eserciti il diritto di voto sulla politica di remunerazione al fine di assicurare il contenimento dei costi; privilegiare le componenti variabili collegate alle performance aziendali e a quelle individuali rispetto a quelle fisse; escludere o comunque limitare i casi e l’entità delle indennità e degli emolumenti corrisposti in occasione della risoluzione del rapporto di lavoro quando riconducibile alla volontà del lavoratore e nei casi di fine mandato.
Si sta ingenerando una convinzione poco salutare per il sistema economico nazionale e non solo. E cioè che lo Stato sia una soluzione praticabile per la gestione delle grandi partite economiche. Vero. Il pubblico può fare molto. Ma questo presenta non pochi rischi. Il caso dell’ilva è emblematico. Lo Stato non è un qualcosa di indistinto. È fatto di amministrazione e di politica. E, come spesso accade, quest’ultima pensa di indirizzare senza porsi il problema delle conseguenze delle sue decisioni. Il disimpegno dei soci indiani dell’ex Ilva era chiaro da tempo. Da quando, cambiando in corsa le regole del gioco, fu tolto lo scudo legale a Mittal su reati eventualmente commessi da altri prima del loro ingresso nella società. Oggi si torna a parlare di commissariamento, di nazionalizzazione. Ma per fare cosa? Con quali investimenti? Con quali obiettivi? Si dimentica che un’azienda deve essere per prima cosa sostenibile economicamente per sopravvivere e distribuire la ricchezza eventualmente prodotta. Per farlo servono piani industriali e manager. Una politica che per definizione è ostaggio del consenso, dei cittadini che la votano, e anche a Taranto votano, come potrebbe farsi carico di un piano industriale che, a detta di tutti gli esperti e imprenditori del settore, dovrebbe prevedere il dimezzamento degli addetti dell’ilva in Puglia? E arriviamo al nodo. Gli attori produttivi non possono che essere soggetti privati con un obiettivo: la sostenibilità economica. Al pubblico, alla politica, spetta la composizione di interessi. Tra i quali c’è quello dei lavoratori ad avere un impiego, e poter condurre una vita dignitosa. Ma questo lo Stato non può garantirlo inventandosi dall’oggi al domani il mestiere di produttore di acciaio. Meglio adoperarsi affinché chi perde un lavoro non sia lasciato a sé stesso ma venga aiutato in attesa di trovare un altro impiego. Per fare questo servono politiche sociali e una politica che capisca che lo Stato dovrebbe imparare innanzitutto a far funzionare sé stesso. E poi, forse, a occuparsi di cose di cui evidentemente capisce poco.
@daniele_manca

Fonte Corriere Economia