Type to search

Crollo Ponte Morandi, progettista sotto accusa: “Cavi già ossidati alla costruzione”

Share

“Morandi poteva far chiudere il ponte che aveva progettato ma non ha fatto nulla”. L’accusa di Michele Donferri Mitelli, imputato nel processo sul crollo del viadotto
“Nessuno sapeva cosa ci fosse là dentro”. La tragedia del ponte Morandi sarebbe nata così. Da un difetto occulto presente “già all’epoca della costruzione” e da fenomeni di corrosione che la struttura avrebbe nascosto al proprio interno. Michele Donferri Mitelli, l’architetto ex numero uno delle manutenzioni di Autostrade per l’Italia, ha offerto così la propria versione sulle dinamiche legate al crollo del viadotto avvenuto il 14 agosto 2018, circostanza per la quale è in corso un processo che vede il professionista tra gli imputati.
“Riccardo Morandi poteva far chiudere il ponte che aveva progettato ma non ha fatto nulla. Ora do retta ai miei avvocati e non dico più nulla”, ha affermato Donferri Mitelli nel corso dell’udienza celebrata ieri, attaccando poi frontalmente “il management di Spea”, società che allora monitorava le strutture per conto di Aspi. Secondo l’ex capo delle manutenzioni, il ponte aveva difetti di costruzione che provocarono un deterioramento delle strutture non riscontrabile, in quanto interno e dunque nascosto. La procura invece sostiene il contrario, visto che già Morandi aveva lanciato alcuni allarmi. Se il viadotto fosse stato analizzato con strumenti idonei – contesta l’accusa – i difetti sarebbero stati individuati.
I cavi primari del viadotto – ha però affermato Michele Donferri Mitelli – “erano già ossidati all’epoca della costruzione, quindi la corrosione era già partita, perché erano rimasti per mesi nel cantiere esposti all’aria. Lo si vede nelle foto degli anni Sessanta”. Secondo l’architetto ed ex manager, “se fossero stati racchiusi nella struttura come pensata da Morandi, avvolti in una lamiera, sarebbero stati come in un sarcofago e senza contatto con l’ossigeno la corrosione si sarebbe fermata. Lo si è visto dopo il crollo in varie sezioni. Ma in alcuni punti le cose non sono andate così”. Secondo quanto riportato da La Stampa, in aula sono stati poi affrontati ulteriori dettagli tecnici e si è tornati a parlare dei problemi di iniezione.
“L’operazione di pompare la boiacca (la sostanza spinta attorno ai cavi per isolarli, nelle guaine che li circondavano, ndr) dal basso aveva incontrato problemi e si erano formate sacche dov’era rimasta aria e l’acqua contenuta nella stessa boiacca. Così la corrosione aveva potuto progredire”, ha sostenuto Donferri Mitelli, precisando: “Rispondo (nonostante l’invito dei suoi difensori a non farlo, ndr) perché ci sono 43 morti e mi sembra doveroso farlo”. Nel proprio intervento, l’architetto ha chiamato in causa anche lo stesso Morandi, che alcuni anni dopo l’inaugurazione del viadotto aveva evidenziato il rischio di infiltrazioni da parte degli agenti atmosferici. Dunque “Morandi poteva far chiudere il ponte”, ha osservato l’ex capo della manutenzione, che nel proprio intervento ha anche puntato il dito contro i manager Spea.
Gli ispettori che facevano i controlli, ha risposto l’archietto al pm, erano preparate, ma “il problema era il management”. Al riguardo – stando a quanto riporta La Stampa – Donferri Mitelli ha accusato: “Avevamo minacciato di bloccare i pagamenti se Spea non avesse fatto quello che doveva. E in alcuni casi così feci. Berti (Paolo, responsabile dell’ufficio Direzione Centrale Operations di Aspi, imputato, ndr) era ossessionato dai controlli, e faceva bene. Vezil, Marco, responsabile dell’ufficio di Spea denominato Funzione Centrale Servizi Esercizio, (imputato e autore di registrazioni di varie riunioni, ndr) ha tenuto ferme le schede di ispezione per venti giorni: se sei in buona fede le gestisci, se sei in malafede le nascondi! Poi ci fu il ‘crolletto’…”. Il riferimento è al crollo di una porzione laterale di soletta del Morandi avvenuta il 7 febbraio 2018. “Da quel momento i rapporti con Spea si chiudono. Castellucci voleva venderla. Era stato chiaro da subito: se lavori mantieni la convenzione con noi, se non lavori la perdi”.
Donferri Mitelli ha quindi escluso di aver avuto compiti di sorveglianza. “Spettavano a Spea, al direttore di tronco (l’ufficio territoriale di Aspi, ndr)”, ha detto. E ancora: “I report delle varie prove? Mai visti e nessuno degli uffici preposti mi segnalò criticità”. Al termine dell’udienza, il commento dell’avvocato Luca Sirotti, uno dei legali di Donferri Mitelli: “È andata molto bene, abbiamo chiarito molte delle questioni utilizzate strumentalmente in questi anni”. L’ultima parola spetterà chiaramente ai giudici, dai quali i parenti delle vittime della tragedia attendono risposte e verità.
Di Marco Leardi – fonte: https://www.ilgiornale.it/