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Crisi: ricomposizione difficile, non impossibile (se si vuole)

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di Loan

Come su un piano inclinato, la crisi sembra rotolare in modo inarrestabile verso le elezioni anticipate, anche se il Presidente Mattarella farà tutto ciò che è in suo potere per evitare di sciogliere le Camere prima che prenda forma la legge di bilancio.

In termini di tempo, fra il votare a settembre-ottobre o a marzo-aprile non fa molta differenza, ma sul piano politico si determinano scenari molto differenti. In Italia tradizionalmente non si vota in autunno per evitare di sovrapporre la campagna elettorale, il voto e la soluzione di continuità tra un vecchio e un nuovo Parlamento durante la discussione del bilancio dello Stato. È vero che c’è sempre una prima volta, ma è vero anche che nei prossimi mesi lo straordinario momento di difficoltà economica che il Paese sta attraversando, secondo tutte le stime, è destinato ad aggravarsi, a fermarne la crescita, stroncare il potere d’acquisto delle famiglie, creare sempre maggiori disuguaglianze e sacche di emarginazione sociale e spingere verso il lastrico buona parte del tessuto produttivo. Insomma è il momento meno adatto per rendere il quadro istituzionale debole e provvisorio ed esasperare le fibrillazioni politiche.

Se la soluzione per ricomporre il quadro di maggioranza dipendesse soltanto dal rapporto tra Mario Draghi e Giuseppe Conte una soluzione, a mio parere, in qualche modo sarebbe trovata. Così come il governo, in teoria, potrebbe andare avanti con l’esclusione del M5S poiché conserva la fiducia di una maggioranza parlamentare. Ma il presidente del Consiglio (non possiamo dire dimissionario perché, al momento, Mattarella ha respinto le sue dimissioni) sa bene che, dopo il turno dei pentastellati, sarebbero i leghisti a metterlo alle strette alzando ogni giorno il prezzo del proprio sostegno, in chiave elettoralistica. Egli dunque preferisce lasciare col rimpianto generale degli orfani della sua leadership, soprattutto sul piano internazionale, che farsi logorare da uno scontro elettorale permanente che passa comunque all’interno del governo, visto che in ogni caso siamo a ridosso della scadenza naturale della legislatura.

Tutti, adesso, hanno buon gioco ad addossare per intero la colpa delle attuali complicazioni al Movimento Cinque Stelle, all’incerta guida di Giuseppe Conte, alle contraddittorie spinte di base di una comunità politica affermatasi sull’onda effimera della protesta e che poi non ha retto l’impatto troppo ravvicinato con le responsabilità di governo.

Tuttavia, a mio modo di vedere, ha sbagliato i calcoli tanto chi pensava di imbrigliare il Movimento in un “campo largo” di cui mantenere saldamente la guida, quanto chi riteneva di tenere fino in fondo i grillini in un quadro di unità nazionale malgrado il dileggio e le bastonature continue nell’intento di spartirsene le spoglie elettorali.

I pentastellati hanno resistito alle pressioni per rivedere il Pnrr nel senso di ridimensionare la transizione ecologica a favore delle lobby del fossile, alla demonizzazione del reddito di cittadinanza, all’opposizione di Draghi e Franco al rifinanziamento del superbonus edilizio. Ma le gocce che hanno fatto traboccare il vaso sono state, prima, la scissione di Di Maio, nella quale Grillo, Conte e i suoi hanno visto lo zampino anche di Palazzo Chigi, poi l’inserimento nel decreto Aiuti della nomina di Gualtieri, sindaco PD di Roma, a commissario straordinario per il Giubileo, con la conseguente pioggia di soldi prima negata alla Raggi e la previsione del termovalorizzatore. Insomma, le responsabilità non stanno da una parte sola. Ha ragione Bersani: “non si può dire M5S indispensabile e mettergli le dita negli occhi”. Adesso non è escluso che Mattarella imponga una soluzione, in fondo è soltanto la Meloni a fremere per andare subito alle urne. Ma l’ipotesi di creare un fronte di contrasto all’avanzata del centrodestra a trazione Fratelli d’Italia è andata in frantumi e, a ben considerare, la partita della galassia centrista per arrivare nella prossima legislatura a rifare un governo Draghi escludendo dalla formazione le “ali” Conte e Meloni appare più complicata che mai, visto anche che il peso parlamentare di quest’area così affollata di esponenti e pretendenti è destinato fatalmente a ridimensionarsi.

Inutile fare pronostici sulla crisi. Il bandolo della matassa è nelle mani di Draghi, il quale mercoledì prossimo in Parlamento potrebbe dire parole precise e prendere impegni ben definiti su alcuni dei temi sollevati dai Cinquestelle e dovrebbe affrontare con più decisione i problemi sociali. Lavoro, aiuti, salari, energia, ambiente, tenuta sociale, da questi nodi nessuno può scappare. E potrebbe essere Draghi, col sostegno di Mattarella, a mettere il Movimento nelle condizioni di rientrare. Se ciò non sarà possibile è bene aver chiaro che l’unica certezza è che di questa situazione gode soltanto la Meloni.