di redazione
In vista della proposta della Commissione Europea per l’aggiornamento delle regole sull’adeguatezza del capitale per le banche, con una lettera congiunta, datata al 7 settembre, la Banca d’Italia, insieme ad altre 24 banche centrali nazionali e autorità di supervisione finanziaria dell’UE, ha chiesto alla Commissione Europea di “garantire che la proposta sia adottata tempestivamente e che soddisfi per intero e in modo coerente l’accordo globale noto come Basilea III”.
L’obiettivo delle banche centrali, oltre a spingere perché la Commissione adotti con tempestività la proposta per l’aggiornamento delle regole sull’adeguatezza del capitale per le banche in base a Basilea III, è quello di introdurre nel sistema un modello di banca più prudente rispetto al rischio di insolvenza, che si basi su una revisione dei coefficienti interni di capitalizzazione degli istituti di credito.
Non è difficile prevedere per le imprese, soprattutto piccole e medie, e le famiglie un significativo inasprimento delle regole europee in tema di classificazione della clientela inadempiente. Giro di vito al credito bancario che cade in un momento particolarmente delicato e difficile per le imprese, soprattutto piccole e medie, e per le famiglie.
Il tema portante dell’accordo Basilea III è quello di evitare il default delle banche e questo mette gli istituti di credito nelle condizioni di andare in controtendenza rispetto a ciò che richiederebbe una fase di emergenza sanitaria che non è ancora finita, così come – e lo ha chiarito bene a Cernobbio il titolare del dicastero dell’Economia, Franco – non possiamo considerare strutturale il rimbalzo che si registra in questa fase. Infatti, per ritornare ai livelli pre-Covid, quando pure la crescita dell’economia italiana era stagnante rispetto agli altri paesi Ue, bisognerà aspettare, se tutto va bene, almeno la seconda metà del 2022.
C’è da chiedersi, allora, se proprio in questo momento non sarebbe stato più opportuno, da parte di Bankitalia e delle altre banche centrali, non sarebbe stato opportuno, piuttosto che chiedere di accelerare la stretta sulla base di Basilea III, pensare a una dilazione dei termini, se non o a una loro sospensione temporanea.
Parliamoci chiaro, con le nuove norme, di cui per di più si richiede l’aggravamento, la banche saranno forse salve (se ben gestite) ma saranno imprenditori e le partite Iva a rischiare il default. E questo sarebbe una beffa.
Già in base alla normativa europea stabilita dall’EBA (Autorità Bancaria Europea) per uniformare i comportamenti degli istituti di credito dei paesi dell’UE, entrata in vigore col 1° gennaio 2021, la banca considera l’esposizione di un cliente come default se vengono superate, in termini assoluti, per oltre 90 giorni consecutivi, le soglie dei 100 euro per le esposizioni della clientela cosiddetta “retail”, vale a dire al dettaglio (persone fisiche e PMI che presentano esposizioni verso la banca per un ammontare complessivo inferiore al milione di euro). Il limite di 100 euro sale a 500 euro 500 per le esposizioni di imprese non retail. In termini relativi, il precedente limite del 5% dell’importo complessivo di tutte le esposizioni verso la Banca è stato abbassato all’1%.
Altra difficoltà per le imprese è il divieto di compensazione per cui la banca è tenuta a classificare l’esposizione in default anche in presenza di disponibilità su altre linee di credito non utilizzate. Eppure succede spesso che una rata di un finanziamento rimanga non pagata per oltre 90 giorni a fronte di una disponibilità inutilizzata di affidamento per cassa.
Per le cosiddette “segnalazioni a sistema”, lo stato di default dell’esposizione permane nella Centrale dei Rischi per almeno 90 giorni dal momento in cui il cliente regolarizza l’arretrato di pagamento e/o rientra dallo sconfinamento di conto corrente.
Altri aggravamenti riguardano la “contagiosità” della classificazione a default in caso di cointestazioni, anche a livello di Gruppo bancario, e il fatto che la rimodulazione dell’affidamento (moratorie, misure di forbearance cioè “di tolleranza”) non è più “neutra”, quindi può venire segnalata come default e, laddove si verifichi un caso del genere, l’impresa, per uscire dallo stato di default, dovrà osservare prescrizioni aggiuntive.
Il verificarsi, in base a questi rigidi criteri, dello stato di default, provoca l’avvio di più procedure da parte della banca, tra loro interconnesse, come la valutazione della effettiva capacità di rimborso del debitore, l’aggiornamento della classificazione della controparte debitrice, il ricalcolo degli assorbimenti di capitale, il ricalcolo delle possibilità di credito. Tutte valutazioni che impattano sulla effettiva possibilità di avere rinnovato o concesso credito.