Roma, 15 mar. – Il Covid lungo, in effetti, sembra manifestarsi come una sindrome post-virale indistinguibile dall’influenza stagionale e da altre malattie respiratorie, senza evidenza di un aumento delle limitazioni funzionali. Chi sperimenta questa complicazione riporta affaticamento, confusione mentale, tosse, mancanza di respiro, alterazione dell’olfatto e del gusto, vertigini e battito cardiaco accelerato o irregolare. Nell’ambito del lavoro, il 16 per cento del campione ha riportato sintomi a distanza di 12 mesi dall’infezione, con il 3,6 per cento che ha segnalato un deterioramento funzionale da moderato a grave nelle attività della vita quotidiana. Dopo aver considerato fattori potenzialmente influenti su questi parametri, l’analisi non ha rilevato maggiore rischio di limitazioni funzionali tra i positivi rispetto a quanto osservato nel gruppo dei partecipanti negativi a Covid-19.
Gli autori riportano tuttavia una probabilità maggiore di danni funzionali tra gli over50 che presentavano sintomi di vertigini, dolore muscolare, mancanza di respiro, malessere e fatica. “Nei sistemi sanitari con popolazioni altamente vaccinate, come l’Australia – afferma Gerrard – i tassi di sintomi persistenti e di deterioramento funzionale sono indistinguibili da quelli di altre malattie post-virali. Questi risultati evidenziano l’importanza di confrontare gli esiti post-Covid-19 con quelli associati ad altre infezioni respiratorie”.
I ricercatori aggiungono che la terminologia ‘Covid lungo’ sembra implicare che ci sia qualcosa di unico ed eccezionale nelle manifestazioni a lungo termine associate al virus, per cui sarebbe opportuno adottare una definizione differente per chi manifesta sintomi a distanza di tempo dalla positività. Gli studiosi concludono sottolineando che il rischio di Covid lungo è stato inferiore durante l’ondata Omicron rispetto ad altre varianti di SARS-CoV-2, probabilmente perché la campagna di vaccinazione nella nazione è stata portata avanti principalmente durante la diffusione di questo ceppo.