Ore 18.15 di ieri, domenica, a Shanghai scatta il momento dell’aperitivo e un gruppo di italiani decide di darsi appuntamento da “Totino Panino”, locale al centro della città. Sembrerebbe una normale serata, di quelle a cui siamo abituati anche qui in Italia: ci sono i tavolini, la gente siede vicina, si ride e si scherza. Ma solo qualche settimana fa le stesse persone erano chiuse nelle loro case, impaurite da un’epidemia, quella del coronavirus, che oggi spaventa l’Italia. “La situazione è migliorata tantissimo, la gente è tornata per strada. Sta tornando a frequentare ristoranti. L’aria è ancora un po’ tesa, ma è normale che lo sia, siamo appena usciti da un incubo”, spiega all’AGI Roberto Bernasconi, chef e fondatore del “Porto Matto”, da 16 anni in Cina e sposato con una cinese.
“Qui c’è stata una chiusura totale, tutti i cittadini hanno rispettato le regole del governo – spiega Bernasconi –. Nel corso delle settimane è stato raffinato anche il controllo con l’applicazione Wechat. Qui la privacy non esiste, ma sono contento di questo se ha permesso di salvare tante vite umane”. L’uomo non nasconde una certa preoccupazione per la situazione italiana. “I miei parenti sono tutti residenti a Bari dove non c’è stata un’esplosione, ma sono medici e farmacisti. Ho dovuto mandare loro le mascherine da qui. Non è possibile”, afferma Bernasconi.
Poi se la prende con le misure, a suo dire tardive, che abbiamo adottato per affrontare l’emergenza: “E’ ammirevole lo sforzo degli italiani, ma andava fatto tutto prima. Fino a un mese fa, vedevamo i video della situazione da voi. Mia suocera cinese, i nostri parenti, mi dicevano ‘perché c’è gente in giro? Perché non hanno mascherina?’”. In diretta su Wechat, nel corso di una videochiamata, Bernasconi si commuove, piange, quando ricorda il numero dei decessi. “Questa mattina ho visto i giornali… 800 morti al giorno… Ci sono ancora quelli che si lamentano per le limitazioni, ma in situazioni straordinarie servono misure straordinarie”.
Al tavolo c’è anche Giulio D’Alessio, originario di Torre del Greco, in provincia di Napoli. “Vivo in Cina da quattro anni e faccio designer, mi occupo della parte creativa dell’abbigliamento – spiega il ragazzo -. Ero qui, ho vissuto le prime due settimane di emergenza, poi sono stato in Thailandia. Sono tornato da due settimane e la situazione è cambiata”.
“Io frequento i locali, sabato sono stato in una discoteca. Club pieni di gente, si balla, ci si diverte – racconta D’Alessio – ma per tornare a questo è stato fatto tutto un lavoro durissimo nelle scorse settimane”. “Qui se si dice ‘restate a casa’, la gente lo fa. Anche io da italiano all’inizio trasgredivo le regole, ma vedevo i colleghi cinesi che mi dicevano di stare a casa, avevano ragione. Ne siamo usciti alla fine”, spiega D’Alessio. “Bisogna chiudere tutto per un po’ – aggiunge –, dobbiamo farlo per tutelare gli altri, oltre che noi stessi”. Il ragazzo racconta anche un episodio divertente avvenuto qualche giorno prima in un commissariato.
“La gestione è stata fatta molto bene, sono qui da 20 anni e mi sono fatto anche la Sars e l’aviaria. La gente rispetta le regole e ora sono nuovamente per strada, nei locali. Un mese e mezzo è stato complicato, io sono rimasto aperto, ma facevo solo consegne. E’ stato messo a dura prova il tessuto sociale ed economico, ma siamo riusciti a uscirne”, spiega Salvatore Giammaria, proprietario di “Totino”. “La curva epidemica scenderà prima o poi se si seguono le regole – aggiunge –. Qui hanno riaperto parchi, palestre. Io sono positivo, e sono convinto che l’Italia ce la farà”. “I medici italiani sono bravi, noi in Cina abbiamo avuto meno morti, è vero. Ma la popolazione è più giovane rispetto a quella italiana, dipende anche da questo”, conclude Giammaria.
“Chi critica il modello cinese non lo conosce, il mio locale ha chiuso per un mese. Ho un ristorante anche in Italia, quando ho visto la situazione ho chiuso immediatamente”, spiega Alan Sartori, due locali a Shanghai e uno a Milano. “L’epidemia è iniziata intorno al 20 di gennaio in maniera forte, ma ora le cose sono decisamente migliorate. Nei nostri punti vendita si è tornati a un livello di clienti che fa vedere trend positivo”, aggiunge il giovane imprenditore. “In Italia si è reagito tardi, con regolamentazioni applicate da alcuni e non da altri. Così il picco si raggiunge in più tempo. Inoltre – aggiunge Sartori – mi raccontavano che la gente arrivava negli aeroporti italiani e a molti non veniva controllata la temperatura. In Cina le temperature viene presa ovunque: metro, edifici, ristoranti. Anche le mascherine erano utilizzate dall’intera popolazione”. “La mia famiglia è in Veneto – spiega Sartori – spero davvero che le cose si risolvano presto. La gente in Italia ha sottovalutato il virus, bisognava intervenire prima. – dice il giovane – Al momento qui in Cina abbiamo solo casi di rientro, le cose miglioreranno anche in Italia miglioreranno”.
Allo stesso tavolino è seduto anche “Lucky Lasagna”: “Mi conoscono con questo soprannome – dice – sono di Aprilia. Qui la crisi è stata superata perché la maggior parte delle persone si è reclusa per un senso civico, non per paura. E’ rispetto nei confronti degli altri. All’inizio anche io ho sottovalutato la situazione – spiega – e andavo in giro, ma poi ho capito la reale importanza e che da me dipendeva la vita degli altri. L’Italia può farcela, ma onestamente una cosa mi ha lasciato sbalordito: volevo mandare 100 mascherine a mia madre, ma sono state bloccate”.
Vedi: "Così siamo tornati a vivere", il racconto degli italiani a Shanghai
Fonte: cronaca agi