AGI – C’è un passaggio nella storia di Netflix che segna in qualche modo l’inizio di una rivoluzione nel mondo del cinema. Una tappa che l’avrebbe portata a diventare da distributore a produttore di film da Oscar. Anno 2007: l’azienda, fondata 10 anni prima da Reed Hastings, decise allora di smantellare il servizio vendita di dvd, il proprio core business, per passare allo streaming online.
Netflix intuì che da lì a poco ci sarebbe stata una grande mutazione nelle abitudini dei consumatori, destinati a spostarsi sempre più online, di pari passo con il miglioramento dei servizi di streaming e delle connessioni alla rete. Quella data, in qualche modo, è stata l’inizio di un cambiamento epocale, che ha ridisegnato sia il consumo di show, film e spettacoli televisivi, sia l’industria stessa della produzione cinematografica, si serie tv e di documentari.
Il successo planetario di “È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino, candidato agli Oscar come migliore film, vede Netflix nel doppio ruolo di produttore e distributore. Ma tra le nomination c’è anche “Don’t Look Up” di Adam McKay, sempre prodotto e distribuito da Netflix (ne ha comprato i diritti nel 2019 da una major: Paramount), mentre di “Il potere del cane” di Jane Campion, che ha ottenuto 12 nomination, è stato distribuito a livello globale sempre dalla società americana. Nessuno come Netflix agli Oscar 2022. Per la compagnia di streaming un successo ormai difficilmente raggiungibile dalle altre major. Solo uno dei ‘marchi storici’ è tra i produttori di film candidati all’Oscar come miglior pellicola dell’anno: Universal Picture, che ha prodotto Belfast di Kenneth Branagh.
Che le grandi piattaforme di streaming siano diventate anche produttrici di film e serie di successo è un fatto oramai acclarato. Se questo genere di servizi rappresentava una nicchia fino a dieci anni fa, oggi i numeri raccontano una realtà diversa. L’anno scorso Netflix ha contato 222 milioni di abbonati a livello globale, con una libreria di oltre 6.000 tra show e film. Il suo fatturato nel 2021 è stato di 29,7 miliardi di dollari. Lo scettro del regno dello streaming è stabile nelle mani della società americana, ma le concorrenti non sono da meno. Tra le principali: Amazon Prime (172 milioni di abbonati), Disney Plus (118 milioni), Hbo Max (72,8 milioni) e Apple TV Plus (40 milioni stimati). Numeri che si traducono in miliardi di dollari di abbonamenti e miliardi di dollari di capitale ottenuti sui mercati. Parte di questi vengono reinvestiti in produzioni originali.
Da un calcolo del Financial Times dello scorso dicembre è emerso come solo le grandi società americane di streaming abbiano in programma di investire circa 115 miliardi di dollari in produzioni cinematografiche originali. Una cifra record, mai raggiunta prima. E per gli analisti il motivo è solo uno: in questa industria si è raggiunto un punto di non ritorno, ora non si può che investire sempre più soldi per cercare di attrarre quanti più clienti possibili perché sopravviverà solo chi avrà raggiunto le più ampie fette di pubblico possibile.
Il pubblico d’altra parte ha già fatto la propria scelta. Secondo la Media Nations dell’osservatore americano Ofcom, la pandemia ha segnato un cambio netto nel consumo dell’industria cinematografica. La fruizione di programmi via tv è sceso dal 67% nel 2019 al 56% nel 2021. Mentre i giovani americani dai 16 ai 34 anni praticamente non guardano quasi più la tv dal vivo. Il tempo passato ogni giogo sul media tradizionale (58 minuti) è poco più della metà di quello speso sui servizi di streaming (97 minuti) e YouTube (82 minuti) che a guardare la TV dal vivo (58 minuti). Effetto della rivoluzione arrivata con il digitale. Invece di fare affidamento esclusivamente su intermediari (come operatori, sistemi via cavo) per far arrivare spettacoli e film agli spettatori, le compagnie di intrattenimento vendono contenuti direttamente ai consumatori. L’effetto è che gli studios stanno rilasciando sempre meno film nei cinema.
Anche complice la pandemia, che forse ha solo accelerato un processo in atto, “È stata la mano di Dio” è stata distribuita quasi in contemporanea nei cinema e online, così come “Dune”, altro candidato come miglior film, e “Il potere del Cane”. Con un maggior numero di film originali che bypassano il grande schermo, il confine tra tv e film, e di conseguenza quelli delle rispettive industrie, si sta confondendo, spingendo a velocità di consumo un tempo impensabili. Gli studios delle grandi major, per esempio, impiegano team esecutivi diversi per supervisionare lo sviluppo e la produzione di film e serie televisive. Una prassi che per molti oggi è anacronistica, troppo lenta e impastata.
Se la partita tra servizi di streaming e major sembra segnata, diversa è quella tra le stesse piattaforme di streaming. Nell’ultima trimestrale Netflix ha registrato come oramai la concorrenza nel settore sia uno dei problemi principali per il prossimo futuro. A fronte di costi in crescita, proprio per sfornare produzioni in grado di reggere quel mercato che nel frattempo diventa sempre più agguerrito. E qui tra colossi come la società di Hastings, Apple, Amazon e Disney, il risultato finale sarà ancora scritto dai grandi numeri delle sottoscrizioni.
Source: agi