Non si è tenuto conto dell’esatta traiettoria dei colpi che uccisero l’agente che sedeva davanti nell’auto della scorta e smonta la versione delle Br sui chi era presente sul luogo della strage
Il Fatto Quotidiano marzo 2021»
GIANLUCA CICINELLI
Due perizie ufficiali sulla strage di via Fani, il 16 marzo 1978, quando fu rapito Aldo Moro, contengono la stessa manipolazione, un vero e proprio depistaggio di Stato, per dimostrare contro ogni logica ed evidenza che non si è sparato dal lato destro di via Fani.
Con buona pace di chi vorrebbe chiariti tutti i misteri del caso Moro, lo sportello di un’auto dimostra che invece proprio da destra si è sparato e con una preparazione militare: la ricostruzione ufficiale, la verità “dicibil e”, concordata tra Stato e Brigate Rosse, non regge dinanzi all’incredibile vicenda della morte del vicebrigadiere Francesco Zizzi. È però necessario riavvolgere il filo della memoria per spiegare che cosa accadde quel giorno. Intorno alle ore 9 del 16 maggio 1978 la Fiat 130 con a bordo il presidente della Dc Aldo Moro, seduto sul sedile posteriore sinistro, sta per arrivare all’incrocio tra via Fani e via Stresa. Moro deve raggiungere la Camera dove si discuterà del primo governo sostenuto con i voti espliciti del Pci. Al volante della 130 c’è l’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci, mentre al suo fianco siede il maresciallo Oreste Leonardi. Dietro di loro, a pochi metri, anche troppo vicina, c’è l’alfetta con la scorta di polizia, guidata dalla guardia di Ps Giulio Rivera accanto a cui siede il vicebrigadiere Francesco Zizzi, al suo primo giorno come caposcorta. Sul sedile posteriore c’è l’agente Raffaele Iozzino.
UNA FIAT 128 TARGATA CD
supera la 130 e arrivata all’incrocio frena, costringendo la 130 a inchiodare, senza però urtare la 128. Da qui in poi indicheremo come lato sinistro di via Fani quello dalla parte dei guidatori Ricci e Rivera e come lato destro quello occupato da Leonardi e Zizzi. Dalle fioriere del lato sinistro di via Fani sbucano quattro uomini delle Brigate Rosse vestiti da avieri, Valeriomorucci e Raffaele Fiore che sparano sulla 130 e Prospero Gallinari e Franco Bonisoli che sparano sull’alfetta. La versione ufficiale vuole che si sia sparato soltanto da sinistra. La corta distanza dalle macchine, per la perizia e per i brigatisti, indica che non occorreva nessuna preparazione specifica. Ma a smentire questa versione “facile” della strage ci sono i reperti che restano in terra. Quattro bossoli di pistola calibro 7,65 sul lato destro della strada. E un proiettile 7,65 verrà rinvenuto in sede di autopsia all’altezza dell’omero destro di Giulio Rivera, l’autista dell’alfetta che muore subito. Quindi quel proiettile viene sparato dal lato destro all’inizio del raid, mentre il gruppo di fuoco esce dalle fioriere a sinistra di via Fani. Ricci viene colpito più volte. Anche Leonardi viene crivellato di colpi, ma la maggior parte sono sul lato destro del suo corpo. Sia la perizia del 1978, sia quella eseguita per la Commissione Moro 2, sempre dalla Polizia, affermano, in accordo con il racconto del brigatista Valerio Morucci, che Leonardi viene colpito a destra perché si gira verso Moro, che però è nella parte opposta dell’auto. Non si deve dire che mentre a sinistra sparava l’approssimativo nucleo di fuoco brigatista, a destra era appostato almeno un tiratore, se non due, estremamente addestrati, che hanno chirurgicamente sparato su Leonardi, su Rivera e su Zizzi. Francesco Zizzi quel giorno proprio non doveva esserci in via Fani, era a Roma da poche settimane e sostituiva un collega che aveva preso ferie improvvise, Rocco Gentiluomo.
L’autopsia di Zizzi ci dice che è stato colpito alla schiena, con una direzione dal basso verso l’alto di circa 45 gradi, da tre colpi in rapida sequenza a due millimetri l’uno dall’altro. A differenza degli altri è l’unico che non viene investito da decine di colpi, è un omicidio chirurgico. Viene ritrovato agonizzante ma seduto al suo posto sull’alfetta accanto all’autista Rivera con tre copi entrati dalla schiena e usciti dal petto. Il sedile anteriore destro dell’alfetta però non presenta colpi da dietro. Che Zizzi sia quindi sceso dalla macchina non è un’ipotesi, è anche la conclusione a cui giunge la prima perizia effettuata da Antonio Ugolini, che il 16 marzo è sulla scena del delitto, mentre a coordinare la raccolta dei reperti è il capo di allora della Polizia scientifica, Giuseppe Pandiscia. Ugolini (pag. 35 del Vol. 45°, Doc. XXIII n.5, della Commissione Moro 1, cioè la pagina 4 della Relazione di perizia tecnico balistica diretta al Consigliere Gallucci) scrive: “Gli altri due occupanti (Iozzino e Zizzi ndr), riuscivano a uscire fuori dall ’auto investite dalle raffiche dei proiettili e schegge di vetro, non si sa con esattezza se già feriti o indenni. Il vicebrigadiere Zizzi Francesco, che si trovava al fianco del guidatore davanti, si dirigeva verso il marciapiede destro”. Ora sappiamo che Iozzino si è appostato dietro l’angolo posteriore destro dell’alfetta sparando e finendo con decine di colpi nel corpo, ma nulla sappiamo di Zizzi che non può essere molto distante da lui. Le foto scattate subito dopo la strage mostrano indiscutibilmente che lo sportello di Zizzi non è stato raggiunto da nessun colpo, anzi c’è una paletta del traffico non toccata dai proiettili proprio al centro dello sportello. Lo scenario cambia quando rileggendo le carte della perizia compaiono tre buchi di proiettile nello sportello che la perizia attribuisce al lato Zizzi. Viene infatti catalogata come foto dello sportello anteriore destro, invece è quello posteriore, quello da dove è uscito Iozzino, che ha esattamente tre fori di proiettile. Inoltre lo sportello posteriore ha il deflettore fisso, a differenza di quello anteriore che ha il deflettore mobile, quindi quello cheugolini spaccia per lo sportello di Zizzi è in realtà lo sportello di Iozzino, per dimostrare che Zizzi era stato colpito mentre era dentro la macchina.
LO SPORTELLO DEI MIRACOLI
ricompare nella nuova perizia effettuata nel 2015 dalla Polizia di Stato. Anzi, in questo caso si arriva davvero allo sfregio verso il povero Zizzi. Quando la perizia viene presentata alla Commissione Moro, la funzionaria che l’illustra continuerà a confondere Zizzi con Rivera, non soltanto invertendo i cognomi, ma insistendo su Zizzi come autista dell’alfetta, pur di non affermare che invece il vicebrigadiere è stato colpito da destra. E poi c’è il “complotto” di Stato sulla morte di Zizzi, dimostrabile dai verbali della Commissione Moro 2. Il magistrato Gianfranco Donadio interroga infatti tutti i componenti delle volanti giunte in via Fani pochi minuti dopo la strage. I poliziotti di tre volanti diverse sostengono tutti la stessa cosa: siamo arrivati per primi, non c’era nessuno oltre noi, abbiamo prestato soccorso a Zizzi. Tre volanti, secondo questo racconto, sarebbero quindi arrivate di corsa in via Fani, nessuno ha visto gli altri e tutti sono andati a soccorrere Zizzi. Naturalmente è impossibile, ma è chiaro che una regia ha pianificato le dichiarazioni degli ex poliziotti al magistrato. Quarant’anni dopo il primo errore, la Polizia non ha notato o ha evitato di notare che il rapporto sulla morte di Francesco Zizzi va riscritto, perché è stato colpito da colpi di arma da fuoco dalla destra di via Fani, che dimostrano la presenza di un tiratore appostato, probabilmente accosciato dato la direzione dei proiettili, difficilmente assimilabile ai brigatisti. E alla loro imperizia.