Di Damiano Aliprandi
«Io mi sono messo a disposizione della commissione Antimafia, potrebbe essere una occasione per affrontare dei temi che, nell’ambito della mia esperienza consiliare, abbiamo esaminato come i rapporti tra Stato e mafia, i mandanti delle stragi e gli importanti esposti dalla famiglia Borsellino. Penso che sia l’occasione giusta per potermi consentire di parlare». Così ha dichiarato Luca Palamara durante la trasmissione Non è L’Arena, condotta da Massimo Giletti, a proposito dell’audizione saltata in commissione Antimafia per la mancanza del numero legale. La verifica delle presenze è stata chiesta da Pietro Grasso di Leu, accanto al quale si è schierato non solo il Pd ma anche Forza Italia. Gli unici a muoversi compattamente per l’audizione immediata di Palamara sono stati i componenti leghisti della commissione. Il problema è che se dovesse essere convocato nuovamente, c’è il rischio che venga ascoltato solo per la vecchia storia sulla mancata nomina al Dap del magistrato Nino Di Matteo. Roba già fin troppo sviscerata, ma nulla sulla vicenda delle deviazioni emerse all’interno delle correnti della magistratura e del Csm. Non solo.
Il rischio è che non venga sentito sugli esposti di Fiammetta Borsellino
Il rischio è che non venga nemmeno sentito per i temi che ha annunciato da Giletti. Parliamo soprattutto degli esposti presentati da Fiammetta Borsellino sui depistaggi nelle indagini sulla strage in cui persero la vita suo padre Paolo e gli agenti di scorta. In particolare la figlia del magistrato ucciso in via D’Amelio aveva chiesto di far luce sulle “disattenzioni” da parte dei magistrati che ci sarebbero state sulle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino. Ricordiamo che il gip ha archiviato l’inchiesta sugli ex pm di Caltanissetta, Annamaria Palma e Carmelo Petralia, rilevando che «ci furono molteplici irregolarità e anomalie nella gestione del collaboratore Scarantino», ma non è stata «individuata alcuna condotta penalmente rilevante a carico dei magistrati». Quindi per il gip, gli allora pm di Caltanissetta non hanno avuto alcuna responsabilità penale nel depistaggio accertato. Ma resta sullo sfondo, come ha scritto recentemente l’avvocata Rosalba Di Gregorio, legale di alcune di quelle persone condannate innocentemente per la strage, che i pm sono stati «scarsamente aderenti ai criteri di valutazione della prova» e che purtroppo non tennero conto neppure dell’instabilità psicologica di Scarantino.
Non sono stati più ascoltati i magistrati che si erano occupati delle dichiarazioni di Scarantino
Fatti che il Csm non ha voluto esaminare per una eventuale azione disciplinare, nemmeno simbolica tipo come la “censura” che equivale a un buffetto sulla guancia. C’è Luca Palamara che, prima di essere radiato, è stato membro del Consiglio superiore della magistratura. Anche quando in seno alla prima commissione Csm si stava discutendo dell’opportunità di svolgere accertamenti nei confronti dei magistrati coinvolti nell’inchiesta sul depistaggio nel primo processo Borsellino. Forse potrebbe fare chiarezza, capire esattamente quale sia stato il vero motivo per cui si è deciso di non dare seguito all’esposto presentato dalla figlia di Borsellino. La verità ufficiale è che ciò sarebbe stato determinato dal troppo tempo trascorso che toglierebbe ogni efficacia all’intervento disciplinare del Csm. Tutto quindi si è fermato e non sono stati più ascoltati i magistrati che si erano occupati delle dichiarazioni del falso pentito: ovvero Fausto Cardella, Francesco Paolo Giordano, Roberto Saieva e Ilda Boccassini, come aveva deciso invece il precedente Csm, il cui unico atto istruttorio era stata l’audizione del magistrato e ora membro del Csm Nino Di Matteo, oltre che l’acquisizione delle motivazioni della sentenza del Borsellino quater. Se Palamara ha annunciato che ha qualcosa da dire, forse dietro la verità ufficiale si nascondono ben altre motivazioni? Un motivo in più per essere audito in commissione Antimafia, ma forse non basta. Per i temi annunciati ci vorrebbe una commissione parlamentare d’inchiesta ad hoc, altrimenti c’è il rischio che si riveli del tutto inutile. A questo si aggiunge un altro aspetto che dovrebbe essere chiarito sempre per il rispetto dei familiari di Borsellino che chiedono con forza la verità.
L’interessamento di Borsellino a mafia-appalti
Uno di quelli è il discorso del procedimento mafia-appalti archiviato dopo la strage di Via D’Amelio. Oramai sono agli atti, per ultimo la sentenza di secondo grado del Borsellino quater, che la causa dell’accelerazione della strage è da ricercarsi nell’interessamento di Borsellino al dossier mafia-appalti, lo scopo è di «cautela preventiva». Un fatto richiamato in diverse sentenze, ma mai approfondito fino in fondo. Ebbene nelle intercettazioni tra Palamara e il pm Stefano Fava si parla di un «ricatto alla palermitana». Si tratta dell’informativa della Guardia di finanza relativa ad attività tecniche rit. n 120/19 e 175/ 19. Riportiamo i passaggi in causa.
Le intercettazione dei colloqui tra Palamara e Stefano Fava
Palamara: «Però dopo lo sai che facciamo, facciamo un libro, io faccio un libro, no non sto scherzando…», Fava: (ride), Palamara: «’na specie di ricatto tu me dai le co…eh…e tutto… e diciamo quello che cazzo è successo…», Fava: «Il titolo è Ricatto alla Palermitana…», Palamara: «Questa adesso è una cosa che va oltre, no? Totalmente», Fava: «Ma se tu leggi quel libro là di… Gli intoccabili inc. le… cioè tu vedi come tutta la carriera di Pignatone è una fuga di notizie…», Palamara: «È così!», Fava: «Dall’ indagine mafia-appalti del ’91 in tutti i procedimenti dove c’era lui, gli indagati, lì era Felice Lima (all’epoca pm di Catania che raccolse la collaborazione di Li Pera e dove rivelò con precisione tutto il sistema appalti ndr), poi c’era Siino (fonetico), c’era Li Pera (fonetico) sempre avevano le informative, cioè sempre in tutti i procedimenti, poi arriva Cuffaro e Cuffaro nella vicenda Guttadauro, nella vicenda Aiello è andato a dire perché è stato condannato Cuffaro, perché Cuffaro dà un incarico a suo fratello Roberto Pignatone, il mio stesso Roberto Pignatone…perché Cuffaro ha dato la notizia a Guttadauro che era un medico e ad Aiello che era un altro medico che avevano le ambientali», Palamara: «Eh!», Fava: «Perciò è stato condannato, giusto?», Palamara: «Esatto», Fava: «e questi procedimenti chi c’era, Pignatone, perché all’epoca era braccio destro…», Palamara: «Secondo me pure per loro se lo mandano in Prima è un boomerang che se io le vado a fa ste dichiarazioni, no ipoteticamente mi chiamano, cioè saltano in area sia Cascini che Manci…cioè quelli che poi si devono dimette…».Precisiamo che sono solo intercettazioni, scambi privati tra due magistrati. Da sottolineare che Pignatone, in realtà, non è l’unico che si occupò del procedimento mafia-appalti: fu coassegnatario del procedimento soltanto sino alla data del 5 novembre del ’91. Non partecipò nemmeno alla stesura della richiesta di archiviazione inerente gli esponenti della politica e della imprenditoria, oggetto di attenzione da parte del Ros. L’aspetto che più colpisce è il “ricatto alla palermitana”, come se esistessero soggetti ricattabili a causa del loro passato. Sarebbe importante fare chiarezza su tutti questi aspetti, in particolar modo i primi anni 90 e ciò che sarebbe accaduto all’interno dell’allora procura di Palermo. Ricordiamo che la sentenza del Borsellino quater di secondo grado suggerisce di indagare anche su quel versante. La Corte ricorda che «non erano state poche le difficoltà iniziali incontrate dal dottor Borsellino, al quale erano state delegate solo le indagini per le province di Trapani e Agrigento, e non per quella di Palermo». A tal proposito, richiamando la sentenza di primo grado, la Corte le attribuisce il merito di aver ricostruito «le ragioni del contrasto fra il dottore Borsellino e l’allora procuratore capo della Procura di Palermo, Giammanco, ricordando come tale delega, più volte sollecitata dal dottore Borsellino, gli fosse stata conferita solo la mattina del suo ultimo giorno di vita».