Di Alessio Viola · giu 13, 2021
La vicenda dell’oncologo (?) del Giovanni Paolo II di Bari, continua a dipanarsi come un film horror di serie B in cui le scene si susseguono in un crescendo di dolore e morte di vittime innocenti. E la scoperta di altri casi in mano a questo medico, sospeso dall’Ordine, ripropongono le domande che facciamo da tempo dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno. Un infermiere, Giuseppe Rizzi, non sappiamo quanto bravo, che viene accompagnato ad iscriversi a Medicina e a conseguire in tempi brevi una laurea ed una specializzazione dovrebbe essere un genio, una persona di qualità superiori. Invece i racconti delle vittime portano alla luce episodi di concussione che risalgono al 2007, quando Rizzi faceva parte dell’equipe di oncologia del Di Venere poi trasferita in blocco al Giovanni Paolo II. È immaginabile che i magistrati stiano ricostruendo le catene di amicizie, collaborazioni, forse complicità che hanno portato un oscuro infermiere a diventare uomo a cui i baroni della medicina consigliavano di rivolgersi.
Posto che l’uomo fosse quello che si è rivelato, la domanda è a questo punto una sola: perché? Che interesse a farlo diventare medico, un uomo di fiducia, a portarlo dal Di Venere all’Oncologico come fosse un novello Veronesi che tutto risolve e guarisce? E il milione e 900 mila euro ritrovati in casa sua in contanti hanno qualcosa a che vedere con queste relazioni? Mai come in questo caso serve un intervento netto della magistratura: non si può esitare di fronte a complicità e connivenze, di qualsiasi natura si dovessero rivelare.
Per fortuna quell’ospedale, che ribadiamo essere una eccellenza assoluta, e che tanti pazienti cura con umanità e rigore scientifico, e che allinea medici ed infermieri di valore, sta dimostrano di avere gli anticorpi necessari a reagire: una robusta rotazione di capisala è stata avviata, tra qualche protesta degli interessati, con l’evidente scopo di sciogliere le cristallizzazioni di una postazione strategica in ogni ospedale. Cosa anche questa auspicata dal Corriere del Mezzogiorno. Così come sarebbe opportuna una rotazione periodica di tutti i vertici amministrativi degli ospedali, non più affidata alle scadenze pre e post elettorali ma ad un criterio che è quello di evitare l’uso di certi ruoli in funzione del sostegno al decisore politico di turno che ne determina le fortune. È una battaglia di lungo periodo, certo. La sanità affidata alle Regioni si è rivelata un errore, lo Stato dovrebbe riappropriarsene in toto. Per ora è bene aspettare che le indagini facciano luce nei sottoscala degli ospedali, nelle stanze dei primari come in quelle degli infermieri. La domanda delle domande rimane anch’essa sospesa: possibile che intorno a loro nessuno si accorgesse di nulla?