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Cop28: l’ambizione di Lula, campione mondiale di clima

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Da ieri fino al 12 dicembre, il Brasile partecipa alla 28ma Conferenza delle parti sul clima (Cop28) con una delegazione record di oltre 2mila persone, alla misura dell’ambizione del presidente Luiz Inacio Lula da Silva ad affermarsi come il campione mondiale contro il riscaldamento globale.
Nel giorno dell’apertura della Cop28 a Dubai, il quotidiano Le Monde approfondisce la “posizione ambiziosa del Brasile di Lula”, che intende diventare il Paese capofila nella lotta ai cambiamenti climatici con la sua proposta di un fondo a tutela delle foreste tropicali. Per portare avanti la sua agenda, il Brasile ha inviato negli Emirati Arabi Uniti 2.400 rappresentanti tra quelli governativi, 12 ministri, esponenti della società civile, dell’imprenditoria e delle autorità locali. Un coinvolgimento in termini di numeri e di trasversalità della delegazione emblematico del cambio di rotta del Paese amazzonico, dopo l’uscita di scena dell’ex presidente di estrema destra, Jair Bolsonaro, negazionista sul riscaldamento globale e responsabile della devastazione dell’Amazzonia. Lula non arriva a Dubai a mani vuote: in un anno, tra agosto 2022 e luglio 2023, la deforestazione è diminuita del 22,3%. In posizione di forza, il presidente di sinistra proporrà ai partecipanti della Cop28 la creazione di un apposito fondo internazionale destinato a sostenere 80 Paesi nella tutela delle proprie foreste tropicali.
Il ministro dell’Ambiente, Marina Silva, ha anticipato che ogni Stato potrebbe ricevere un compenso per ogni ettaro di foresta protetta, da prelevare da un apposito fondo gestito da un’istituzione finanziaria multilaterale. Inoltre sul tavolo negoziale porterà la sua promessa della deforestazione zero dell’Amazzonia nel 2030, oltre ad un ambizioso programma di recupero delle terre danneggiate dall’allevamento e non più coltivabili. In tutto 22,3 mld di euro dovrebbero essere investiti nell’arco di un decennio per restaurare 40 milioni di ettari, l’equivalente della superficie della Svezia. “Il Brasile è visto come il Paese del momento. Quando la gente pensa al Brasile, pensa alla foresta, all’Amazzonia, all’energia verde e pulita. Le persone hanno capito che il Brasile può offrire al mondo ciò di cui ha bisogno: una produzione agricola senza emissioni di carbonio e una foresta preservata”, ha dichiarato Lula pochi giorni fa durante la sua diretta settimanale “Conversa com O Presidente” (“Dialogo con il presidente”). Tuttavia, i risultati del leader di sinistra non sono esenti da contraddizioni o debolezze. “Se la deforestazione sta sicuramente diminuendo in Amazzonia, è in forte aumento nella savana del Cerrado, che è una gigantesca torre d’acqua da cui hanno origine gran parte dei fiumi dell’America Latina, ma che è anche un’immensa riserva di carbonio”, ha evidenziato Marcel Bursztyn, professore al Centro di sviluppo sostenibile dell’Università di Brasilia.
Secondo un rapporto della Ong MapBiomas, questo fragile ecosistema immagazzina 8,1 gigatonnellate di carbonio nel suo suolo, l’equivalente di quasi la metà della quantità immagazzinata in Amazzonia. Ciò non impedisce la sua distruzione da parte dell’agribusiness, motore della crescita brasiliana, sostenuta anche dal governo Lula.
Nel mese di ottobre sono stati rasi al suolo 683 chilometri quadrati del Cerrado, l’equivalente di 6,5 volte la superficie di Parigi, tre volte la superficie distrutta nello stesso periodo dell’anno scorso. Due giorni fa, il governo ha annunciato il lancio di un nuovo Piano d’azione per la prevenzione e il controllo della deforestazione nel Cerrado, il “PPCerrado”, con, ancora una volta, la promessa di “deforestazione zero” nel 2030. Il testo dà priorità all’approvazione di nuove unità di conservazione, dei territori indigeni e quilombolas (discendenti degli schiavi), mentre appena l’8% di questo ecosistema è oggi protetto dalla legge, contro la metà dell’Amazzonia. L’azione di Lula viene criticata anche sul tema molto delicato del petrolio. Il colosso brasiliano del settore pubblico, Petrobras, ha ricevuto il sostegno del presidente nella sua intenzione di effettuare trivellazioni petrolifere su larga scala nel delta dell’Amazzonia, sulla costa settentrionale del Paese. Un progetto che potrebbe avere, secondo le Ong, conseguenze a cascata drammatiche per le comunità di pescatori locali e per la biodiversità. L’istituto ambientale Ibama ha respinto il progetto della Petrobras a maggio scorso, ma la società ha presentato ricorso contro la decisione e spera di poter iniziare i lavori l’anno prossimo. Infine poche promesse sono state fatte sul fronte della produzione energetica, tenuto conto del fatto che il 48% della produzione brasiliana proviene già da fonti rinnovabili, un dato che sale all’83% se si considera solo la produzione elettrica. Attualmente quindi in Brasile le emissioni provengono principalmente dalla deforestazione, motivo per cui gli impegni sono focalizzati sulla preservazione della foresta. “È urgente che il Brasile – 9° produttore di petrolio al mondo – si unisca al movimento globale per un accordo per eliminare gradualmente i combustibili fossili nel mondo entro il 2050”, ha detto Camila Jardim, portavoce di Greenpeace. La posizione di Lula “minaccia l’aspirazione del Brasile ad un ruolo politico di primo piano nell’agenda internazionale sul clima.Ciò costituisce un errore ambientale, ma anche un errore politico ed economico, perché ci sono segnali di un calo della domanda globale di combustibili fossili a partire dal 2028”, argomenta l’Ong. “Per preservare la sua leadership, il governo brasiliano deve quindi risolvere le incoerenze che esistono tra la sua politica ambientale e le sue politiche economiche ed energetiche”, ha concluso Jardim. Il tempo stringe: il Brasile deve ospitare la Cop30 nel 2025, a Belem, in Amazzonia.