Sono entrati nel vivo i lavori della Cop27 di Sharm el-Sheik, ennesimo palcoscenico internazionale dedicato alla lotta contro il cambiamento climatico che dal 1992 con cadenza annuale riunisce delegazioni dei governi nazionali, gli scienziati, le ONG, giornalisti e personaggi di punta della società civile.
Le premesse non lasciano presagire nulla di buono, così come i dati presentati a ridosso del summit, che evidenziano una situazione allarmante, che richiede delle contromisure concrete, efficaci ed urgenti.
Ormai da 26 edizioni ci si interroga su cosa fare per evitare la catastrofe climatica, e le risposte risultano sempre le medesime. Tuttavia, i piani di riduzione delle emissioni inquinanti, rilasciati nelle scorse edizioni hanno mostrato che ancora c’è un abisso tra gli impegni presi e ciò che realmente serve per consentire l’eliminazione quantomeno parziale delle emissioni di CO2.
I delegati dei 197 paesi riuniti nella sede egiziana avranno l’arduo compito di tramutare i buoni propositi della vigilia in fatti concreti, per scongiurare il pessimismo degli attivisti che dagli accordi di Parigi del 2015 non vedono sostanziali miglioramenti e passi avanti da parte della comunità internazionale.
I nodi da sciogliere rimangono sempre i medesimi, riuscire ad evitare un aumento della temperatura terrestre oltre i limiti tollerabili (1,5°), avviare una decarbonizzazione vera e che non riguardi solo il continente europeo, destinare infine ingenti somme di denaro per riuscire ad arginare i danni che già ora stanno subendo i paesi sottosviluppati e che in un futuro neanche troppo lontano rischiano di manifestarsi anche nel nostro territorio.
Nonostante la presa di coscienza e la consapevolezza che il tempo a nostra disposizione stia esaurendo, le azioni concrete portate avanti fino a questo punto paiono andare in tutt’altra direzione.
L’atteggiamento negligente da parte di istituzioni e governi, i quali più volte hanno dimostrato scarso impegno o addirittura disinteresse nei confronti di una questione che ci interessa da vicino, è il simbolo della nostra società, superficiale e delegante, sempre pronta rimandare a domani un problema che già oggi può e deve essere prevenuto.
I dati riportati dagli scienziati evidenziano una situazione molto grave, i cui risvolti sono facilmente individuabili prendendo in considerazioni alluvioni, frane, inondazioni e tutte quelle calamità climatiche a cui stiamo impotentemente assistendo e che sono in netto aumento rispetto ai decenni precedenti.
Come scrive l’Organizzazione meteorologica mondiale in un rapporto diffuso oggi alla Cop27 di Sharm el-Sheikh, considerando esclusivamente la situazione asiatica, danni economici da siccità nel 2021 sono aumentati del 63% rispetto alla media dei vent’anni precedenti (2001-2020), i danni da alluvioni del 23% e quelli da frane del 147%. Le persone direttamente colpite sono state 48,3 milioni, i danni 35,6 miliardi di dollari. Le alluvioni hanno causato il maggior numero di perdite di vite umane e di danni economici.
Solo nel 2021 le inondazioni hanno causato i danni economici più grandi in Cina (18,4 miliardi di dollari), seguita da India (3,2 miliardi) e Thailandia (0,6 miliardi). Le tempeste hanno causato danni soprattutto in India (4,4 miliardi), Cina (3 miliardi) e Giappone (2 miliardi).
Dunque, mentre la situazione peggiora a vista d’occhio, pare che non tutte le parti in gioco vogliano giungere ad una soluzione valida e comune. Lo dimostra l’assenza alla Conferenza Egiziana di Russia, India e Cina, paesi ritenuti tra i maggiori responsabili dell’emissione di gas serra nell’atmosfera e che a livello demografico rappresentano la metà della popolazione mondiale (3MLD).
Inoltre, continua lo show di sponsorizzazioni surreali e ambigue, infatti, dopo la Coca Cola, principale responsabile di inquinamento di plastica al mondo, ecco che si aggiungono all’evento, altre multinazionali dell’elettronica come la Microsoft, la Vodafone, la IBM, la Siemens e Google. Tutte aziende che basano la loro attività su prodotti a base di batteria, la cui composizione è garantita da elementi quali coltan e cobalto. Si tratta di materiali che arrivano in larga misura dalle miniere situate nella regione nordorientale del Kivu nella Repubblica Democratica del Congo.
Giunti a questo punto la stabilità climatica del nostro pianeta, sembra irreparabilmente compromessa, anche a causa della scelta di puntare sull’utilizzo di gas liquido da parte dell’occidente che contribuirà ad inquinare ulteriormente il pianeta e che rischia di regalare nuova linfa vitale all’estrazione di fonti fossili. Anche qualora si dovesse arrivare ad un accordo alla cop27, l’assenza dei tre grandi paesi inquinanti (Russia, India, Cina) renderà vana ed insignificante ogni possibilità di ridurre le emissioni e di salvaguardare l’integrità del nostro globo e dei suoi abitanti.