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Contro i rifiuti spaziali serve il raggio traente di Star Trek

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Alla University of Colorado Boulder si lavora allo sviluppo di un “trattore elettrostatico”, che come nella fantascienza permetterebbe di manipolare a distanza satelliti in disuso e detriti che inquinano l’orbita

Campi di curvatura, teletrasporti, phaser e siluri fotonici per ora rimangono un miraggio. Ma ci sono tecnologie introdotte al grande pubblico dal franchise di Star Trek che hanno fatto la loro comparsa anche nel mondo reale. È il caso dei comunicatori, che sembrerebbero aver ispirato lo sviluppo dei primi telefoni portatili nei primi anni ‘70. E presto, forse, anche dei raggi traenti, o qualcosa di simile: si chiama trattore elettrostatico (o electrostatic tractor), è basato su un principio diverso dai fasci di gravitoni utilizzati dalla flotta spaziale, ma permette comunque di manipolare oggetti a distanza nello Spazio, e un team di ricercatori della University of Colorado Boulder lo sta sviluppando come strumento per ripulire l’orbita terrestre dai rifiuti spaziali.

Spazio, ultima discarica

Il problema dei rifiuti in orbita attorno al nostro pianeta rischia di diventare presto di tale portata da rendere plausibile lo sviluppo di tecnologie fantascientifiche per affrontarlo. Per decenni, infatti, abbiamo continuato a mettere in orbita satelliti, sonde e stazioni spaziali senza curarci dei rifiuti che producono. E già oggi facciamo i conti con il risultato: ci sono già 11mila tonnellate di materia introdotta dall’uomo nell’orbita terrestre, molta della quale è costituita da satelliti ormai in disuso, rottami e frammenti prodotti da incidenti e collisioni. “Immondizia” spaziale, che rende sempre più complessi i nuovi lanci, e obbliga le agenzie spaziali ad un monitoraggio costante per evitare che i satelliti ancora in funzione possano andare incontro a collisioni. E visto che le previsioni parlano di un aumento esponenziale dei satelliti in orbita nei prossimi anni, con 1.700 lanci l’anno già entro il 2030, il problema è destinato ad aumentare, e farsi sempre più drammatico (tanto che l’Onu lo ha citato tra i sei punti di non ritorno che mettono a rischio l’umanità e il nostro pianeta).

Il raggio traente

Negli ultimi anni le agenzie spaziali hanno iniziato a preoccuparsi di prevenire, come possibile, l’inquinamento spaziale. Ma per risolvere il problema ormai non è più sufficiente: servono spazzini spaziali in grado di raggiungere detriti e satelliti in disuso, per poi di liberarsene, disintegrandoli nell’atmosfera, o lanciandoli più lontano dal nostro pianeta, dove non possono fare danni. È qui che entra in gioco il raggio traente. In Star Trek sono raggi di gravitoni che possono interagire con la materia manipolando la artificialmente gravità stessa. Per ora non possiamo fare nulla di simile (tanto più che i gravitoni per ora rimangono particelle del tutto ipotetiche), ma abbiamo a disposizione un fenomeno fisico che permette di interagire a distanza con gli oggetti: l’elettricità statica, quell’accumulo di carica elettrica che ci fa prendere la scossa toccando oggetti innocui, o fa drizzare peli e capelli se ci passiamo vicino un oggetto strofinato su un panno o su un maglione.

Per sfruttare lo stesso fenomeno nello spazio, e su scala ben più ampia, serve un dispositivo speciale. Ed è quello che progettano alla University of Colorado Boulder: utilizzare una cannone elettronico, che non è un’arma fantascientifica ma un semplice emettitore di elettroni (erano contenuti, ad esempio, nei televisori a tubo catodico) che può caricare negativamente un oggetto a distanza e permettere così di manipolarlo sfruttando l’attrazione elettrostatica che si genera con l’emettitore, carico positivamente. Questo strumento, ribattezzato per l’occasione trattore elettrostatico, potrebbe essere montato su una sonda, e utilizzato quindi nello spazio per “agganciare” satelliti da rottamare e grossi detriti spaziali, e spingerli verso un’orbita più esterna dove non rappresentino un rischio per i satelliti operativi o per il lancio di nuovi dispositivi orbitali.

Non è facile come sembra

L’idea dei ricercatori americani è semplice ed elegante, ma anche complessa da mettere in pratica. L’attrazione elettrostatica che si può generare con cannone elettronico utilizzato a distanza di sicurezza è debole, e per questo uno spazzino spaziale armato di raggio traente dovrebbe operare molto lentamente, impiegando anche un mese per estrarre un singolo satellite da un’orbita geostazionaria. Bisogna inoltre superare i problemi posti dall’ambiente spaziale, ricco di particelle cariche prodotte dai venti solari che possono interferire con il cannone elettronico. E non ultimo, bisogna riuscire a interagire con i detriti in rotazione e costante movimento.

Tutte queste sono sfide tecniche, che i ricercatori dell’università del Colorado sono al lavoro per risolvere. L’obbiettivo, assicurano, è raggiungibile, a patto ovviamente di trovare i fondi necessari per perfezionare il progetto e costruire i primi prototipi da testare nello Spazio. Un preventivo ufficiale non è ancora stato stilato, ma il prezzo di un singolo prototipo probabilmente si aggira attorno a qualche decina di milioni di dollari. La loro idea è di costruirne due, per poter controllare nei loro esperimenti non solo i movimenti della sonda ma anche quelli del bersaglio su cui verrà messa alla prova, e questo ovviamente raddoppia i costi dell’intera operazione.

Spazzini spaziali

Una volta perfezionata la tecnologia, e costruiti i primi spazzini spaziali armati di raggio traente, i costi di gestione diventerebbero molto più contenuti – assicurano – ed è per questo che sperano di attrarre l’attenzione della Nasa o di qualche finanziatore privato, interessato a ripulire l’orbita terrestre per garantire la sostenibilità dell’economia spaziale nei decenni che verranno. Rispetto ad altri sistemi di pulizia orbitale proposti negli ultimi anni, l’trattore elettrostatico ha il vantaggio non indifferente di poter operare a distanza di sicurezza, cosa che rende molto meno rischiose le manovre di quanto non lo siano reti, arpioni e altri meccanismi immaginati in precedenza.

Il grande limite di questa tecnologia, invece, è che permetterebbe di eliminare solamente i rifiuti di dimensioni maggiori, satelliti e detriti macroscopici, lasciando in orbita la moltitudine di microscopici frammenti prodotti dai lanci e dalle collisioni tra satelliti degli ultimi decenni. Per occuparsi di questa nube di materiali piccoli e velocissimi (l’Esa stima che attorno al nostro pianeta orbitino oltre 36mila detriti di dimensioni superiori ai 10 centimetri, un milione tra 1 e 10 centimetri e circa 130milioni sotto il centimetro), comunque capaci di danneggiare satelliti, basi spaziali e astronavi in caso di collisione, serviranno tecnologie di tipo diverso. Ma un approccio differenziato potrebbe essere proprio quello che serve, un po’ come avviene sulle nostre strade, dove utilizziamo mezzi differenti per rimuovere rifiuti di tipo e dimensioni diverse. Il problema dei rifiuti spaziali, lo dicevamo, è serio ed urgente. E quindi è probabile che nei prossimi anni inizieranno a prendere forma programmi concreti per la costruzione di una flotta di spazzini dedicati a tenere libera dall’immondizia l’orbita terrestre. Il raggio traente sarà parte della soluzione? Come sempre, staremo a vedere.

Fonte: https://www.wired.it/