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Conflitto Russia – Ucraina: non solo gas. La guerra del grano

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L’Italia importa il 64% del proprio fabbisogno di grano, 120 milioni di chili di grano dall’Ucraina e 100 dalla Russia. Il resto dal Canada, Europa, Messico e Stati Uniti. La Russia è il principale esportatore di grano a livello globale. Dell’odierno conflitto russo-ucraino fanno le spese i nostri granai, perché sono sotto attacco militare le navi in partenza dai porti dell’Ucraina cariche di frumento e dirette in Italia

di Salvo Di Gennaro*

Le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi, per gli interessi di persone che si conoscono ma non si uccidono” (Pablo Neruda).

È sempre così e sempre sarà, non ci sarà mai una valida giustificazione perché al giorno d’oggi sia giustificata una guerra. Voglia di potere, interessi economici, smania di sopraffazione, imposizione di supremazia sul più debole non possono giustificare gli eccidi di intere popolazioni. La guerra è sempre stata la soluzione all’impotenza della parola, all’incapacità di rispettare le idee altrui, della prosopopea di credersi forte al punto di sopraffazione di altri uomini. Gli esempi del passato come gli Zar, Hitler, Pol Pot, Saddam, Kim Jong-un, ecc. non hanno insegnato niente ed il grido delle loro vittime è ancora forte: “Perché?”, Ora il popolo ucraino sta vivendo le stesse sofferenze.

Il coinvolgimento europeo è inevitabile e l’Italia in particolare ne soffre le conseguenze.

L’Italia importa il 64% del proprio fabbisogno di grano, 120 milioni di chili di grano dall’Ucraina e 100 dalla Russia. Il resto dal Canada, Europa, Messico e Stati Uniti. La Russia è il principale esportatore di grano a livello globale.

Nell’odierno conflitto russo-ucraino ne fanno le spese i nostri granai, perché sono sotto attacco militare le navi cariche di frumento dirette in Italia in partenza dai porti dell’Ucraina.

Una materia prima con la quale produciamo pasta: spaghetti, penne e rigatoni. L’Italia è al primo posto nel Mondo per produzione e consumo di pasta.

A farne le spese i nostri imprenditori. La crisi pandemica prima e il rincaro dell’energia, luce e gas, li hanno già messo in ginocchio, in una spirale senza più ritorno.

Prevedibile, quindi, il rincaro dei prodotti finali come pane e farina.

Il balzo dei prezzi sui mercati mondiali delle materie prime alimentari si registra nelle quotazioni del grano e della pasta. Quest’ultima – fanno notare da Assoutenti – che già a gennaio ha subito un rincaro del 12,5%, potrebbe arrivare a costare il 30% in più rispetto allo scorso anno. Il prezzo del pane, cresciuto del 3,7% lo scorso mese, potrebbe subire aumenti del 10%. Gli analisti tuttavia, anche tenendo conto del costo di energia e gas alle stelle e dell’inflazione che tende a stabilizzarsi sugli alti livelli di adesso, ritengono che l’aumento di due beni di consumo primari per gli italiani come pane e pasta possano gonfiarsi fino ad arrivare a un 50% in più. Il Cai (Consorzi Agrari d’Italia) lancia l’allarme indicando che le quotazioni di grano tenero sono “a livelli mai visti prima d’ora e le prime conseguenze potrebbero ricadere presto su consumatori e agricoltori”. Federalimentari ritiene che il costo della pasta potrebbe superare il 10%, percentuale che si aggiunge all’aumento del 10% avvenuto a fine ello scorso anno (fonte ANSA).

Degli imprenditori in difficoltà abbiamo già detto, ma che dire di consumatori e agricoltori.

In tale contesto occorre rivedere i pregiudizi sul grano canadese. Molti detrattori affermano che è pieno di glifosato, sostanza considerata potenzialmente cancerogena e che da anni è al centro del dibattito per la sua tossicità. Di contro i produttori e le Autorità canadesi hanno sostenuto la bontà del frumento esportato all’estero, cercando di rasserenare gli animi, a dispetto della campagna denigratoria che viene alimentata da più parti in Italia. 

Ma la vera scommessa è la auto produzione del grano. L’Italia produce ogni anno intorno agli otto milioni di tonnellate di frumento, insufficienti per l’industria della trasformazione.

Abbiamo tre milioni e mezzo di terreni abbandonati. Un settore che non riconosce il giusto prezzo agli agricoltori; senza trascurare il recupero di superfici preziose per il ripristino degli ecosistemi e della produttività, oltreché traghettarci verso la strategia europea di riduzione dei pesticidi entro il 2030. In prospettiva potremmo divenire leader nel campo dei prodotti biologici.

In conclusione non siamo in grado di soddisfare i fabbisogni nazionali di materia prima, sia in termini di quantità prodotta sia in termini di qualità. Il motivo risiede in un sistema di coltivazione che, tranne alcune eccezioni, è poco efficiente e quindi poco competitivo.

In qualità di Coordinatore Nazionale Imprese sono certo che: “Il Pnrr ha le risorse adeguate all’incentivazione della produzione in agricoltura. Le Stazioni per statuto hanno lo scopo per migliorare la produzione agraria, particolarmente quella cerealicola. Tali compiti istituzionali vengono espletati tramite la sperimentazione e la ricerca di base ed applicata, affrontando tutte le tematiche connesse alla interdisciplinarietà delle materie trattate. La tutela delle nostre imprese deve essere prioritaria”.

Aumentare la produzione, ad esempio, dei grani antichi (il Russello, la Tumminia (ufficialmente Timilia), il Perciasacchi, la Biancuccia, il Bidì) è la migliore soluzione per renderci autosufficienti: Sicilia (Enna) e Puglia (Foggia) sapranno fare la propria parte.

La storia dovrebbe insegnarci qualcosa. Il grano era sicuramente la materia prima più importante per la Roma di Romolo e Remo. La capitale importava dalla Sicilia più di 3 milioni di quintali di grano da destinare anche ai cittadini romani meno ricchi. Le spighe siciliane venivano raccolte mandate a Roma a un costo molto basso. Grano siciliano che seppe reggere bene il confronto con quello successivamente importato dall’Egitto e dal Nord Africa.

Non solo gas, quindi, quale fonte per l’approvvigionamento energetico, ma anche il grano, quale materia prima, appare di vitale importanza per l’alimentazione, un campo che non va sottovalutato.

Adesso la politica e i governanti facciano la loro parte, per non dipendere dalle bizze espansioniste e guerrafondaie del dittatore di turno.

* Coordinatore Nazionale Imprese di Confedercontribuenti