Nullo. Addio all’accertamento fiscale se di fronte alla contestazione del contribuente il fisco non riesce a dimostrare che l’impiegato delle Entrate cui appartiene la firma sull’avviso sia delegato del capo dell’ufficio e appartenga anch’egli alla carriera direttiva. E ciò per esigenze di certezza del diritto connesse ai requisiti formali dell’accertamento. La regola vale sia per l’Iva sia per l’Irpef. È quanto emerge dalla sentenza 203/15, pubblicata dalla prima sezione della commissione tributaria provinciale di Terni.
Agenzia onerata. Accolto il ricorso del contribuente, dopo che non è stato possibile chiudere la pendenza con la Entrate mediante l’adesione all’accertamento. In capo al cittadino era scattato il recupero dell’Iva con tanto di sanzioni, anche in base a quanto dichiarato dal titolare dell’impresa durante il confronto con i funzionari dell’amministrazione. È vero: l’ufficio finanziario non risulta tenuto ad allegare già all’avviso di accertamento la delega del dirigente al funzionario che materialmente sottoscrive l’atto: spesso prima di notificare l’avviso il fisco assicura il contraddittorio con il contribuente e dunque deve ritenersi che il cittadino non abbia a interesse a porre la questione in quel momento; le cose cambiano quando il contribuente solleva la questione della sottoscrizione dell’atto in sede contenziosa prospettandola come motivo di nullità dell’avviso per carenza di un requisito formale: in tal modo il contribuente pone a carico dell’amministrazione l’onere di provare che la delega al funzionario firmatario esiste ed è pure regolare. E in particolare che il funzionario delegato appartenga egli stesso alla carriera direttiva come il capo che lo designa a firmare l’accertamento. Insomma, di fronte a un motivo di ricorso ad hoc del cittadino le Entrate non possono far finta di niente ma devono dimostrare in giudizio il corretto esercizio del potere sostitutivo, pena la nullità dell’accertamen