In sede di concordato preventivo è legittima la transazione fiscale solo dilatoria del credito Iva, essendo vietato allo Stato membro di disporre una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva, al diritto di riscossione dell’imposta, quale risorsa propria dell’Unione europea. È quanto emerge dalla sentenza della Corte costituzionale n. 225 del 15 luglio 2014.
I fatti
Il Tribunale ordinario di Verona è stato investito del giudizio di ammissibilità della proposta di concordato preventivo di una società a responsabilità limitata, che prevedeva il pagamento di tutti i creditori privilegiati e delle spese di procedura (132.034 euro) mediante apporto esterno del socio, con il ricavato della vendita di un bene personale e il pagamento parziale del credito Iva. Quest’ultimo costituiva “questione attinente alla possibilità giuridica di ammettere la società al concordato,” rimessa alla valutazione esclusiva del Tribunale (Cassazione, sezioni unite, sentenza 1521/2013).
Per il credito Iva (280mila euro), veniva riconosciuto all’Erario un importo minore del dovuto (106.467 euro, pari all’intero valore del patrimonio della società), oltre a 8.677 euro (pari al 5% del residuo credito degradato a chirografario, costituente classe a sé), con una presumibile percentuale di soddisfazione del 41,12%.
La proposta prevedeva, inoltre, la suddivisione degli altri creditori chirografari in due classi (fornitori e banca) e il loro soddisfacimento con il ricavato della vendita del bene personale del socio. A parere del Tribunale, tale proposta sarebbe stata vantaggiosa in quanto avrebbe garantito la soddisfazione dell’Erario per un importo di gran lunga superiore a quello che la liquidazione fallimentare avrebbe permesso di acquisire (stimato, al netto delle spese di vendita, nel 10% dell’intero credito).
Tuttavia, il giudice a quo:
Di diverso avviso la difesa erariale secondo la quale la falcidiabilità dell’Iva è esclusa sia dall’articolo 32, comma 5, del Dl 185/2008, che ha inserito nell’articolo 182-ter della legge fallimentare l’inciso secondo cui “con riguardo all’imposta sul valore aggiunto […] la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”, sia dalla disciplina comunitaria precedente (ottavo considerando della Direttiva Ce 2006/112), cha ha affermato il principio sovranazionale di intangibilità dell’Iva, quale risorsa propria dell’Unione europea .
La Corte costituzionale ha dichiarato “non fondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 160 e 182-ter”, del regio decreto 267/1942 con riferimento agli articoli 3 e 93 della Costituzione, in quanto il credito Iva “non è riconducibile a nessuna delle tradizionali categorie di creditori privilegiati o chirografari” e, la relativa disciplina, prevedendo un trattamento peculiare e inderogabile, è volta a garantire il pagamento integrale dell’imposta, “assistita da un privilegio postergato in deroga al principio dell’ordine legale delle cause di prelazione” (con un trattamento differenziato non solo rispetto ai crediti privilegiati in generale, ma anche nei confronti degli altri crediti tributari assistiti da privilegio).
Osservazioni
Ricorrendo alla transazione fiscale nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, l’imprenditore in crisi, al fine di evitare il dissesto aziendale, può proporre anche alle Agenzie fiscali il pagamento parziale ovvero dilazionato dei tributi e dei relativi accessori, in deroga al principio generale di indisponibilità e irrinunciabilità del credito da parte del Fisco.
In generale, l’articolo 160, comma 2, della legge fallimentare stabilisce che la proposta di concordato preventivo possa prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano offra ai creditori privilegiati il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.
L’articolo 182-ter della stessa legge, invece, disciplina la “transazione fiscale” nell’ambito della proposta di concordato preventivo, escludendo la “falcidia” rispetto ai debiti per Iva (e alle ritenute effettuate e non versate) nel senso che tali passività possono formare oggetto esclusivamente di una dilazione di pagamento e non anche di un pagamento parziale.
A parere della Corte, le due norme non violano l’articolo 97 della Costituzione, in quanto la previsione legislativa della sola modalità dilatoria per la transazione fiscale avente a oggetto il credito Iva deve essere intesa come il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo.
E neppure violano l’articolo 3 della Costituzione, poiché la previsione di una deroga al principio di indisponibilità della pretesa tributaria, circoscritta ex lege alla sola dilazione di pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, si giustifica proprio per il persistere della possibilità, per il Fisco, di riscuotere il tributo in futuro, con la contestuale approvazione di un piano di concordato idoneo a consentire il graduale superamento dello stato di crisi dell’impresa.
Senza disparità di trattamento con la procedura fallimentare nella quale è, invece ammessa una riduzione del credito. Al riguardo, la Consulta ha chiarito che concordato preventivo e procedura fallimentare hanno diverse finalità: lo scopo del primo è di consentire all’impresa di continuare la propria attività previa approvazione di un piano di ristrutturazione dei debiti da parte dei creditori (in questo caso, l’indisponibilità del credito Iva è volta a evitare che l’Erario sia soggetto all’arbitrio dei creditori); diversamente, la procedura fallimentare è preordinata alla liquidazione dell’impresa e al soddisfacimento dei creditori con l’attivo residuo (il rischio di eventuali pregiudizi non sussiste poiché il Tribunale, emessa la sentenza dichiarativa del fallimento, approva lo stato passivo con atto autoritativo).