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Comuni, i più colpiti dalla revisione del Pnrr

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La proposta di revisione esclude dal Pnrr circa un terzo degli interventi che prevedevano come soggetto attuatore i comuni, che pure avevano ben compreso le straordinarie opportunità di investimento offerte dal Piano. È una scelta con molti rischi.

Il ruolo dei comuni nell’attuazione del Pnrr

Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza comuni e città metropolitane sono soggetti attuatori per un ammontare di investimenti pari a circa 40 miliardi di euro, 36,6 dei quali (il 91 per cento) già assegnati. I comuni sono soggetti attuatori di oltre il 53 per cento dei progetti relativi alle misure ripartite. Si tratta di 53.665 progetti riferibili a più del 99 per cento dell’universo dei comuni, percentuale che raggiunge il 100 per cento considerando città medie, capoluoghi di provincia, città metropolitane e comuni delle isole. Come riportato dalla Corte dei conti nell’ultima Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr, il livello elevato di partecipazione alle procedure di selezione e il loro esito favorevole evidenzia tre aspetti positivi del coinvolgimento dei comuni nel Piano: 1. le amministrazioni comunali hanno accettato la sfida del Pnrr e hanno colto la portata straordinaria delle opportunità di investimento; 2. nonostante la complessità delle procedure e le carenze strutturali di personale, gli enti locali hanno dimostrato capacità tecniche e organizzative soddisfacenti e una azione amministrativa efficace; 3. l’ammissione a finanziamento di progetti appartenenti alla quasi totalità dei comuni italiani ha assicurato una capillare diffusione del Pnrr, permettendo di soddisfare una condizione fondamentale del Next Generation EU, ossia la coesione sociale e il pieno coinvolgimento di tutto il territorio nazionale. Ci sono state senza dubbio difficoltà nei bandi asili nido e scuole per l’infanzia, green communities e fondi per le persone con disabilità, ma anche il governo nella sua Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr, presentata al Parlamento il 31 maggio 2023 (pag. 112), ha riconosciuto che “le amministrazioni locali hanno assicurato, su tutto il territorio nazionale, un intenso impegno nelle varie fasi di attuazione del Piano, contribuendo in maniera significativa ai risultati finora raggiunti”. Nonostante questi risultati, nell’ambito del progetto di revisione del Pnrr da inviare alla Commissione europea – la decisione definitiva arriverà molto probabilmente tra ottobre e novembre – il governo ha presentato la proposta di de-finanziare interventi per un ammontare complessivo di 15,9 miliardi di euro, dei quali circa 13 miliardi vedono come soggetto attuatore i comuni e le città metropolitane. Nella tabella 1 le misure de-finanziate ai comuni.

Le ragioni indicate dal governo

Quali sono le ragioni che hanno convinto il governo a togliere dal Pnrr circa un terzo degli interventi che prevedevano come soggetto attuatore i comuni? Dalla relazione di accompagnamento alla proposta di revisione del ministro Raffaele Fitto non emergono spiegazioni puntuali per ogni misura, riconducendo le problematiche “a eventi e circostanze oggettive, quali l’aumento dei costi legati all’investimento, la scarsità materie prime e le criticità legate alle catene di approvvigionamento, squilibri tra domanda e offerta o impreparazione del sistema produttivo. A questi profili si aggiungono difficoltà normative, amministrative o gestionali, derivanti da ritardi nella fase di avvio, dalle caratteristiche dei progetti (già in essere e quindi non rispondenti alle condizionalità del Piano e/o eccessivamente parcellizzati) e da limiti di capacità amministrativa”. Per argomentare i de-finanziamenti delle misure per i comuni, la proposta di revisione rimanda anche alla terza Relazione sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza dello scorso 31 maggio, nella quale gli elementi di debolezza per le diverse misure vengono concentrati in quattro tipologie: aumento dei costi o scarsità dei materiali; squilibrio domanda/offerta, investimenti non attrattivi, impreparazione del tessuto produttivo; difficoltà normative, amministrative e gestionali; ridefinizione di target e scadenze, ed errori formali. In definitiva, dalla lettura del documento del 27 luglio le ragioni del definanziamento dei progetti dei comuni sembrano essere due: 1) per le misure che finanziano progetti in essere, non essendo interventi progettati successivamente all’approvazione del Pnrr, si presentano problemi di potenziale ammissibilità (coerenza dell’intervento con la finalità della Misura o rispetto del principio Dnsh). Spostarli dal Pnrr al bilancio nazionale non dovrebbe comportare alcun ritardo, ma vanno trovate le risorse in legge di bilancio per dare certezze sulla loro realizzazione; 2) per le misure che finanziano nuovi progetti, la criticità principale è rappresentata dai ritardi nell’attuazione degli interventi. In questo caso, finanziarli con risorse della politica di coesione unitaria rischia di rallentare fortemente i progetti.

I rischi

Concentrare la revisione del Pnrr di fatto sui soli tagli ai progetti dei comuni sembra rispondere più a valutazioni politiche che tecniche. E potrebbe portare più danni che benefici. Considerata la tempistica molto lunga del processo di approvazione delle modifiche, dal punto di vista della comunicazione istituzionale si è fatto probabilmente un errore nel presentare le proposte alla Commissione come una scelta già definitiva. Il rischio è che le amministrazioni attuatrici degli interventi, nella confusione mediatica e nella incertezza delle procedure e della fonte di finanziamento, fino a novembre rallentino o addirittura interrompano monitoraggio e rendicontazione degli interventi, in buona parte ormai anche conclusi. I comuni hanno dimostrato di saper cogliere la sfida collettiva del Pnrr e restano l’interlocutore istituzionale principale con i cittadini e il territorio. Non tenere conto di tale impegno e di tale ruolo potrebbe essere un limite per tutto il sistema paese e per la funzionalità del rapporto tra Italia ed Europa.