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Come si può consentire che un condannato per reati di mafia determini la vita politica di un paese?

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di Alessandro Cucchiara

In Italia se si ha una condanna per reato non colposo non è consentito partecipare a un concorso pubblico.
La Pubblica Amministrazione tenta con difficoltà di instillare in se stessa gli anticorpi per evitare che la mafia possa (tornare ad) avere di nuovo rapporti con essa.

La nostra Costituzione stabilisce che la pena debba avere una funzione rieducativa e che il condannato debba tornare in società ritrovando la sua dimensione umana.
Questo, però, non può essere un concetto di libertà assoluta slegato dall’etica.
La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei modi stabiliti dalla legge: ma comunque non possiamo e non dobbiamo dimenticare la questione etica.
Il fatto, cioè, che chi si è macchiato di reati così gravi, pur avendo il diritto di ritrovare la sua dimensione umana, una volta pagato il conto con la Giustizia, non debba avere la possibilità di tornare a fare politica attiva o avere influenza. E non è una questione giuridica ma prettamente etica e di principio.

Il Segretario di un partito ha il potere di selezione chi si candida nelle sue liste; se in una coalizione vincente, ha il potere di indicare un assessore da designare; ha la facoltà di suggerire (e a volte imporre) alle istituzioni la direzione politica da assumere.
Per esercitare questi poteri costituzionali, anche il segretario di un partito dovrebbe essere specchiato: avere cioè lo stesso requisito per essere assunti nella P.A. e avere a che fare con le istituzioni.

Come si può consentire che un condannato per reati di mafia determini la vita politica di un paese?
Come si può ritenere normale che chi ha offeso la collettività in modo tanto grave, possa tornare a governarla?

Io ho grande rispetto per la storia delle persone; ritengo che chiunque possa ritrovare la strada giusta dopo aver commesso degli errori, chiunque può pentirsi e ritrovare se stesso e la sua umanità.
E, tuttavia, questo appartiene alla sfera personale e privata di ciascuno di noi: non si può estendere alla sfera pubblica.
Altrimenti una sanzione gravissima come l’interdizione perpetua dai pubblici uffici non avrebbe senso.
In quest’ottica, come si può consentire tacitamente di raggirare questa sanzione elidendo la sua finalità preventiva e di tutela della P.A.?

Tutto questo non può essere ridotto a uno scontro tra mafia e antimafia o tra questa e mafia dell’antimafia.
È un approccio stucchevole e triste, anche offensivo di tutti noi cittadini che abbiamo assunto determinati valori a pilastro della nostra vita.
La questione etica è e deve avere, invece, importanza preminente per tutti noi, senza colori politici e senza etichette di appartenenza.
Io scelgo di ritenere essenziale la questione etica, riconoscendole un valore costituzionale insuperabile.
E nel rispetto che si deve avere per chi la pensa diversamente, dico che le cose bisogna imparare a dirle mettendoci la faccia.
Perché i silenzi hanno ucciso questa terra.