Il 16 gennaio del 1605 venne pubblicata a Madrid la prima edizione di “El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha” (il Libro Primo del Don Chisciotte della Mancia), di Miguel de Cervantes
di Fausto Fareri
Immaginare un “ hidalgo” (nobile in spagnolo) che intraprende un viaggio incognito nella Spagna a cavallo tra ‘500 e ‘600 è il massimo esperimento del Siglo de oro (Secolo d’oro) della letteratura spagnola, un romanzo che è lo spartiacque tra un modo di narrare e vedere la letteratura come intrattenimento di corte e un nuovo approccio di riflessione ironica sui modi del letterato e sui suoi “eroi”, nei quali irridere ad un epoca , ai suoi miti, alle sue illusioni.
Il Don Quijano vive in un perenne altrove, un mondo immaginario alimentato dalla spasmodica lettura di romanzi cavallereschi, retaggio di un gusto elitario, tipico delle classi agiate ma lontane dalla vita dura del contado, dei poveri cristi, impersonati da Sancho Panza, che per sbarcare il lunario si adattano ad assecondare le smanie di un attempato cinquantenne, che si costruisce un ruolo, un destriero, un’armatura come “ossessione” reale, con la quale inseguire un “sogno” di cavalleria e riscatto. Le peripezie dell’hidalgo sono divenute ghiotte pagine che da oltre cinque secoli il pubblico non disdegna, ammaliato dai casi paradossali (lotta contro i mulini a vento, situazioni improbabili, ricerca dell’amor cortese) giocate sul confine del surreale, nel quale la “locura “ (pazzia in spagnolo) conduce questo nobile decaduto.
A metà tra romanzo picaresco, di formazione, ed epica, Cervantes guarda alla Spagna della sua epoca, al tramonto di una élite ormai incapace di arginare gli affaristi, i faccendieri, gli usurai, i soldati mercenari abbagliati dalle ricchezze del Nuovo Mondo. Sancho, il fido scudiero, uomo semplice, scorta il nobiluomo più per diretta umanità che per convinzione, in una fuga dalla durezza del vivere, in una “Mancha” che è la provincia, lontana dalla vita madrilena e sostanzialmente emarginata, terra di osterie, grandi radure, contado semi-analfabeta, dove una umanità povera di spirito e sostanzialmente materialista non poteva che costituire uno scenario paradossale, nel quale si specchiava l’incapacità della vecchia classe parassitaria di capire, Cervantes lo dice tra le righe, come il mondo stesse cambiando.
Trasposto al cinema in pregevoli prove tra cui la più coinvolgente a livello di immagine quella velata di un gusto tonale ed espressionista del Pabst, senza dimenticare il successo di Hiller Man of Mancha, tratto da un musical di successo, con Peter 0’ Toole ed una misurata e superba Loren nel ruolo della contadina-dama Dulcinea.
Rimane un’esperienza la lettura per quanti, soprattutto in un frangente come quello attuale, tentano una sana evasione di gusto, un ridere misurato tra le righe, un perché al senso dell’esistenza. Certamente il Don Chisciotte uomo-personaggio, non molto lontano da quanto disse Shakespeare, appare “della stessa materia dei sogni”. Ma per questa sua fragilità, illusione, idealismo sfrenati un “eroe”, nostalgia di una elitaria consapevolezza.