di Ignazio Burgio
Il 12 febbraio 1941, in pieno clima bellico, venne eseguita la prima iniezione di penicillina su di un paziente umano, un poliziotto di Oxford affetto da una grave infezione. Ad inoculare la prima dose furono i medici della Sir William Dunn School di Oxford, Howard Florey ed Ernest Boris Chain, coordinati da un altro medico ricercatore, Alexander Fleming, che aveva messo a punto il nuovo potente farmaco antibatterico.
Le prime osservazioni sulle proprietà antibatteriche delle muffe del genere “Penicillium” risalgono al 1870 per opera di John Burton del St. Mary’s Hospital di Londra seguite nel 1895 dalle ricerche sperimentali del medico militare italiano Vincenzo Tiberio. Fu però solo a partire dal 1928 con il lavoro di Alexander Fleming sempre al St. Mary’s Hospital che si arrivò alla produzione del primo antibiotico derivato dalle muffe: la penicillina, appunto. Oltre che le guerre della prima metà del xx secolo anche il caso fu determinante nella vita e nelle scoperte di Fleming.
Nato a Lochfield, in Scozia, nel 1881, e trasferitosi poi a Londra all’età di quattordici anni, il giovane Alexander nel 1900 si arruolò insieme al fratello in un reggimento interamente di scozzesi per partecipare alla guerra contro i Boeri in Sud Africa. Entrambi tuttavia rimasero in Inghilterra essendo in soprannumero, ma in quell’ambiente militare Fleming si fece notare per la sua bravura in alcuni sport, in particolare nel tiro a segno.
Avendo deciso di studiare Medicina, l’anno dopo entrò al St. Mary’s Hospital di Londra. Le sue aspettative erano quelle di diventare un semplice medico chirurgo, ma il caso volle diversamente. Nel medesimo ospedale londinese venne creato nel 1902 su iniziativa del batteriologo Almroth Wright il “Dipartimento di inoculazione”, ovvero un centro di ricerche su vaccini e vaccinazioni. Uno dei suoi ricercatori, John Freeman, appassionato di tiro a segno e intenzionato a creare una squadra sportiva, avendo sentito parlare della bravura di Fleming come tiratore lo convinse a cambiare il suo corso di studi, e a trasferirsi da chirurgia al nuovo istituto.
Le finalità del Dipartimento di Inoculazione non erano solo quelle di condurre le ricerche sui vaccini, ma anche di sviluppare nuovi farmaci da impiegare nelle malattie. Dopo aver trascorso gli anni della Prima Guerra Mondiale in Francia come ufficiale medico insieme a Wright, nel 1922 il quarantunenne Alexander, grazie alla sua spiccata curiosità e al suo spirito di osservazione scoprì infatti il lisozima, un enzima naturale prodotto da piante e animali – quindi anche dagli esseri umani – capace di uccidere i batteri. Su di una piastra di coltura del suo laboratorio aveva provato a mettere un po’ della sua mucosa nasale, e dopo qualche settimana notò che i batteri si erano sviluppati ovunque tranne che sulla sua secrezione. Dopo aver creduto sulle prime che il lisozima potesse rivelarsi un potente battericida, Fleming e Wright avrebbero voluto isolare l’enzima puro, ma vennero impediti dal fatto che il Dipartimento non aveva con se né un chimico né un biochimico. Dopo aver condotto negli anni successivi altri esperimenti sul lisozima, Fleming alla fine si rese conto che l’enzima pur riuscendo a sterminare i batteri meno dannosi era tuttavia impotente di fronte agli agenti patogeni più letali. Le sue ricerche dunque continuarono.
Di lì a poco infatti nel 1928 notò, come già in precedenza col lisozima, una piastra di coltura contaminata con macchie di muffa del genere Penicillium: attorno alle macchie i batteri si erano dissolti. Fleming iniziò allora a sperimentare in maniera sistematica l’azione battericida di quella particolare muffa, la Penicillium notatum, e dimostrò che era molto efficace su di una vasta categoria di agenti patogeni, persino contro la difterite e il carbonchio. Gli fu impossibile tuttavia isolare il principio attivo per il solito problema, ovvero la mancanza di un biochimico all’interno del Dipartimento. Per di più nel 1929 i risultati delle sue ricerche vennero accolti in maniera fredda dal mondo scientifico che in quel periodo provava più fiducia nei ritrovati chimici di sintesi, come i sulfamidici.
La rivoluzionaria scoperta, così come capitato a tante altre nella storia della scienza, rimase praticamente incompresa e ignorata per diverso tempo, finché nel 1936 un gruppo di ricercatori della Sir William Dunn School di Oxford, i cui principali esponenti erano Howard Florey ed Ernst Boris Chain, s’imbatterono casualmente nelle pubblicazioni di Fleming sulla penicillina e decisero di proseguirne le ricerche. Essendo Chain un biochimico riuscì a ottenere dal Penicillium un principio attivo mille volte più efficace della muffa grezza. I loro risultati una volta pubblicati nel 1940 suscitarono l’interesse del mondo scientifico e soprattutto di Fleming. Dopo i primi esperimenti sugli animali, il nuovo farmaco, la Penicillina, venne finalmente provata sull’uomo: il 12 febbraio del 1941 un poliziotto di Oxford che stava morendo di setticemia ricevette la prima iniezione e le sue condizioni ben presto migliorarono. Tuttavia i ricercatori non potendo sintetizzare coi loro modesti mezzi quantità sufficienti di penicillina, non riuscirono a garantire le necessarie dosi a quel primo paziente che morì il mese successivo.
Fleming ed i suoi colleghi si resero conto che soltanto la produzione industriale poteva garantire forniture sufficienti di penicillina, ma non potendo fare affidamento sulle industrie farmaceutiche europee a causa della guerra, si rivolsero agli Stati Uniti anch’essi nel frattempo entrati in guerra dopo Pearl Harbour. Pressata dalle necessità della guerra, l’America vide nella penicillina un efficace farmaco per la cura dei feriti e garantì sufficienti forniture anche agli alleati europei. Nell’agosto del 1942 Fleming utilizzò la penicillina su di un suo amico affetto da meningite: la sua rapida guarigione impressionò il mondo scientifico e l’intera opinione pubblica, promuovendo il successo e la diffusione del nuovo farmaco. Il suo artefice ricevette finalmente i riconoscimenti che meritava, tra cui in patria il titolo di baronetto, la Legion d’Onore in Francia, e nel 1945 anche l’assegnazione del Premio Nobel per la Medicina, insieme ai suoi colleghi Howard Florey ed Ernst Boris Chain. Alexander Fleming morì dieci anni dopo a Londra nel 1955 per attacco di cuore.