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Come Gorbaciov tentò di impedire la riunificazione della Germania

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AGI – Con le macerie del muro di Berlino ancora fumanti (erano passati appena sei mesi dalla sua caduta), Mikhail Gorbaciov era assolutamente deciso a impedire la riunificazione della Germania. Una posizione dettata dalla disperazione: il leader sovietico era convinto che una Germania unita membro della Nato avrebbe rappresentato il colpo fatale per la sopravvivenza dell’Unione Sovietica.

Altri documenti declassificati – in parte di fonte sovietica, in parte americana – appena messi a disposizione dal National Security Archive americano, fanno adesso luce su un passaggio cruciale della storia recente, destinato a cambiare gli equilibri globali ed il volto del Vecchio Continente, mostrando sin nel dettaglio come l’ultimo segretario generale del Pcus abbia cercato di convincere con tutti i mezzi Washington a scongiurare la prospettiva di un colosso tedesco in mezzo all’Europa: “Dobbiamo enfatizzare ancora una volta che sarebbe politicamente e psicologicamente inaccettabile per noi vedere una Germania unita nella Nato”, si afferma nelle “direttive per le negoziazioni con il segretario di Stato, James Baker” elaborate dal Politburo in data 15 maggio 1990 per preparare il summit con il presidente statunitense, George H. Bush, che si sarebbe tenuto il 2 giugno di quello stesso anno a Camp David

Firmata, tra gli altri, dal ministro degli Esteri Eduard Shevardnadze, e dal capo del Kgb Vladimir Kryuchkov, la nota confidenziale elaborata per il presidente sovietico ipotizzava al posto di un’immediata riunificazione un processo molto più lungo e complesso: “Notare che la formazione di un singolo Stato tedesco puoòessere realizzato solo dopo che siano determinate le condizioni esterne, visto che gli altri Stati europei hanno il diritto di avere una garanzia nel tempo che dalla nuova Germania possa provenire solo la pace”, si ‘suggerisce’ ai negoziatori sovietici in procinto di andare a Camp David.

D’altra parte, per controbilanciare il ‘njet’ russo alla riunificazione – destinato, tuttavia, a non reggere alla prova della storia – in queste ‘direttive’ la leadership sovietica ipotizza delle compensazioni per la Repubblica federale, sia pur ancorate all’interno di un vasto ridisegno condiviso degli equilibri strategici globali: il percorso consisteva nel “trovare soluzioni accettabili a tutti nell’accelerata costruzione di nuove strutture di sicurezza pan-europee. Il primo passo pratico in questa direzione potrebbe essere la creazione di un Centro per la prevenzione della minaccia di guerra con base in Germania”.

Per Mosca, il punto era quello di evitare una possibile “distruzione di un equilibrio dei poteri e della stabilita’ in Europa” che “inevitabilmente” risulterebbe dalla riunificazione tedesca. A detta del Cremlino, la conseguenza di una Germania unita sotto l’ombrello dell’Alleanza atlantica (con, in più, un evidente spostamento verso est della sfera d’influenza della Nato) non poteva che rappresentare “una situazione militare e strategica per noi pericolosa”. 

Il sogno di una “nuova casa comune”

Insomma, l’idea di Gorbaciov era quella di una nuova “comune casa europea”, con la graduale trasformazione della Nato e del Patto di Varsavia in organizzazioni politiche destinate, nel tempo, a confluire nella Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Csce). Il problema è che l’Urss era “un orso ferito dotato di artigli nucleari”, come ripeteva il ministro degli Esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher.

Infatti – a quanto sottolineano i curatori dei National Security Archives, Thomas Blanton e Svetlana Savranskaya – il memorandum del Politburo è interessante anche perché fa luce sulle difficilissime dinamiche interne ai vertici sovietici: il documento mostra, insomma, come si tentasse “di limitare le possibilità di troppe concessioni da parte di Gorbaciov durante i negoziati”, dettagliando “posizioni molto specifiche sulle questioni da affrontare”, tra cui il disarmo nucleare e l’utilizzo delle armi biologiche.

Ritardare l’inevitabile

Anche a causa dei sommovimenti in quasi tutti i Paesi del blocco sovietico, “Gorbaciov era davvero sotto il fuoco incrociato dalla sinistra e dalla destra del Soviet Supremo”, aveva insomma “bisogno di mostrare il summit come un proprio successo”. Ma qui, alla intensa ‘tre giorni’ di Camp David, il tema cruciale rimaneva senza dubbio il futuro dell’Europa. Il fatto è che Gorbaciov – capo del Cremlino da ormai cinque anni – non faceva mistero del fatto che l’Urss si trovava già sull’orlo della dissoluzione: il suo appello era a scongiurare un tracollo che, secondo lui, avrebbe portato un’instabilità globale forse incontrollabile. Tanto da arrivare a chiedere esplicitamente agli Usa un sostegno finanziario per evitare la bancarotta: “Abbiamo bisogno di ossigeno. Non stiamo chiedendo un regalo. Stiamo chiedendo un prestito”, dice Gorbaciov ad un attonito James Baker, come emerge dalla trascrizione di una conversazione di ben cinque ore tra il leader sovietico e il segretario di Stato Usa datata 18 maggio 1990. 

Si tratta di un documento, peraltro, che presenta le note a mano successivamente aggiunte dallo stesso presidente Bush: il quale sottolinea le parole di Gorbaciov quando dice che “ci deve essere una presenza Usa in tutti i processi europei” e aggiunge le parole “cambiare il nome” al passaggio nel quale il capo del Cremlino afferma che una Germania nella Nato porterebbe con sè “la fine della perestrojka”.

E ancora: dalle trascrizioni sovietiche delle conversazioni tra Gorbaciov e Bush alla Casa Bianca emerge il tentativo di quest’ultimo di convincere l’interlocutore di Mosca “che le sue paure sulla Germania si fondano sul passato”. Al che Gorbaciov propone una Germania “con un piede nella Nato e con l’altro nel Patto di Varsavia”, idea che però il successore di Ronald Reagan rimanda al mittente, non esitando a definirla “schizofrenica”. Al che, notano sempre Blanton e Savranskaya, Gorbaciov fa un’ulteriore proposta, secondo la quale “i cittadini tedeschi devono avere il diritto di scegliere la propria alleanza”.

Il gioco di Kohl

Il fatto è che nel suo tentativo almeno di rallentare il processo di riunificazione il leader sovietico procedeva su un filo rosso negoziale strettissimo: non era sua intenzione alienarsi la Germania come Paese potenzialmente ‘amico’ nello scacchiere internazionale. È una complicata partita a scacchi, nel quale Helmut Kohl preme sull’acceleratore, ma al tempo stesso fa un gioco di sponda con il capo del Cremlino: in una telefonata con Bush del 30 maggio 1990, colui che passerà alla storia come il cancelliere dell’unità tedesca insiste sulla “futura appartenenza della Germania unita alla Nato senza alcuna limitazione”.

D’altra parte, perà, insiste sul fatto che sia necessario “trovare un accordo economico sensibile” con Gorbaciov, perché il leader del Cremlino “ne ha un gran bisogno”, aggiungendo anche che “è di immensa importanza che facciamo ulteriori progressi nel disarmo”. Sulla questione di ipotetici aiuti finanziari per Mosca, nella telefonata Bush fa capire a Kohl che sarà lui a doversene prendere carico.

La conferma arriva da un’altra fonte: è un cablo Usa che riferisce le parole dell’ambasciatore tedesco, Anton Rossbach, secondo il quale “Kohl e Genscher sono pronti a pagare un prezzo molto alto” per raggiungere l’obiettivo di una Germania unificata. Un gigante al centro dell’Europa, a soli 45 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Vedi: Come Gorbaciov tentò di impedire la riunificazione della Germania
Fonte: estero agi


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