Fonte @Focus.it
Ecco come la nascita di Gesù, raccontata con pochi dettagli nei Vangeli, si è trasformata nel Natale della tradizione con la grotta, l’asinello, il bue e la cometa.
La celebre strada degli artigiani del presepe di Napoli è famosa in tutto il mondo. Shutterstock
Che fosse dicembre è improbabile. Che corresse l’Anno Zero (o più propriamente Uno) è impossibile. Che fossero presenti un asino e un bue, lo dicono solo alcuni testi che la Chiesa rigetta come apocrifi. Che tutto avvenisse in una grotta, idem. Infine, che nel cielo notturno brillasse una cometa è una suggestiva leggenda inventata di sana pianta nel clima culturale del tardo Medioevo, 13 secoli dopo i fatti, quando Carlo Magno era già morto da 500 anni e Dante Alighieri aveva già doppiato il famoso mezzo del cammin della sua vita.
A BETLEMME? Dunque come fu, in realtà, il primo Natale della Storia, quello che si festeggiò a Betlemme due millenni (abbondanti) fa? Le fonti di notizie sono scarsissime. Dei quattro evangelisti canonici, due (Marco e Giovanni) non dicono nulla sul tema; un terzo dedica al Natale un versetto telegrafico: “Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode” (Matteo, 2: 1). Solo il Vangelo di Luca indugia su qualche dettaglio.
L’articolo è tratto da “Il presepe che non c’era”, di Nino Gorio, pubblicato su Focus Storia 38: Storie di Natale (dicembre 2009), disponibile solo in digitale. Il nuovo Focus Storia in edicola è il numero 171 (gennaio 2021) con un ricco dossier sulla vita e le opere di Durante di Alighiero degli Alighieri, meglio noto come Dante.
Tanto silenzio non deve stupire: i primi cristiani consideravano sconveniente parlare di certi aspetti della vita del Messia, ritenuti troppo “terreni”. Ancora all’inizio del terzo secolo, chi cercava dettagli sul primo Natale si tirava addosso il sarcasmo di un padre della Chiesa, Clemente Alessandrino: “Costoro non si contentano di sapere in che anno è nato il Signore, ma con troppa curiosità cercano anche il giorno!”. E un altro “padre”, Origene (185-254), arrivò a teorizzare: “Nelle scritture solo i peccatori, non i santi, celebrano la loro nascita”.
L’ANGELO DEL SIGNORE. In questo quadro non è strano che tre vangeli tacciano sul Natale, ma semmai che uno ne parli. Ecco il testo controcorrente: “Ora, mentre si trovavano in quel luogo (Betlemme) si compirono per lei (Maria) i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria di Dio li avvolse di luce” (Luca, 2: 6-9).
Come si può notare, il testo non cita alcuna stella cometa, alcuna coppia bue-asinello, alcuna grotta. Parla invece di una mangiatoia, che sottintende una stalla. Ancora: il testo non parla di dicembre e tanto meno del giorno 25. Anzi, i casi sono due: o l’episodio dell’adorazione dei pastori (che ispirò nei secoli seguenti molti artisti) è solo una fantasia, oppure il primo Natale fu in un’altra stagione, visto che l’inverno in Giudea è troppo freddo perché uomini e greggi dormano all’aperto di notte.
L’affermazione si basa su precisi dati meteo: negli Anni ’50 un noto storico e divulgatore tedesco, Werner Keller, nel best-seller La Bibbia aveva ragione si prese la briga di misurare le temperature medie notturne di Hebron, a 20 chilometri da Betlemme. Ecco i risultati: dicembre –2,8°, gennaio –1,6°, febbraio –0,1°. Il tutto abbinato a fitte piogge (dicembre 147 mm, gennaio 187 mm). “Con temperature sotto lo zero” concluse “neppure nella Terra Promessa poteva esserci bestiame al pascolo”.
CALENDARI BALLERINI. Quando dovremmo far festa, allora? Il mondo cristiano risponde in ordine sparso. La scelta del 25 dicembre, che oggi accomuna cattolici e protestanti, non è condivisa da ortodossi, copti e armeni, che comunque puntano su date invernali (6 o 7 gennaio, secondo le confessioni e il ritmo degli anni bisestili). Un tempo il calendario liturgico era ancor più variegato: alla fine del III secolo, quando i cristiani iniziarono a uscire dalle catacombe, in Tunisia il Natale si celebrava il 28 marzo, in Egitto il 20 maggio e a Roma forse mai. Insomma: in assenza di notizie certe, sulla data del “vero Natale” molti sono andati a briglia sciolta, senza timore di essere smentiti. L’osservazione non riguarda solo i credenti, ma anche i laici, che spesso si sono sbizzarriti a loro volta in ipotesi fantasiose: una trentina di anni fa l’inglese David Hughes, in base a calcoli estremamente complessi, lanciò una teoria secondo cui Gesù sarebbe nato il 15 settembre. Si badi: Hughes non era un fanatico religioso in cerca di notorietà, bensì un serio docente di Astronomia dell’Università di Sheffield (Inghilterra).
Quando e perché, dunque, fra i molti presunti compleanni di Gesù, ha prevalso il 25 dicembre? Chi scava alle radici della festa cristiana non trova evangelisti, ma un paganissimo imperatore romano, un papa e un calligrafo. L’imperatore era Aureliano, prode militare nato nell’attuale Serbia che, volendo unificare culturalmente il mondo romano, nel 274 istituì per decreto un dio uguale per tutti i sudditi (il Sol invictus), fissandone la festa (Dies natalis) poco dopo il solstizio d’inverno, quando le giornate ricominciano ad allungarsi. Così i cristiani trovarono il Natale del Dio Unico già bell’e pronto. E presto sostituirono il Sole con Gesù.
ERA PRIMAVERA? Poi arrivò il papa, che si chiamava Giulio I: probabilmente fu lui a fissare ufficialmente la festa a fine dicembre. Ciò accadde entro il 352, quando il cristianesimo era legale da 40 anni scarsi.
Poco dopo o poco prima (fra il 336 e il 354) un calligrafo, tale Furio Dionisio Filocalo, disegnò la Depositio martyrum, il primo calendario liturgico, dove Natale era segnato a ridosso delle calende di gennaio (il nostro Capodanno). Dunque il Natale, festa d’inverno per eccellenza, nacque per mettere in ombra una ricorrenza pagana? È l’ipotesi più gettonata, benché non l’unica. Ma se è così, dai nostri presepi va tolta la farina che, un tempo, si spargeva a mo’ di neve sulle colline: meglio decorare tutto con primule e violette di primavera, o con foglie rosse autunnali.
Per fare presepi storicamente corretti, però, andrebbero tolte anche altre cose: per esempio il bue, l’asinello, la cometa e la stessa grotta. Partiamo dalla grotta. La devozione popolare da 17 secoli la identifica in una precisa cavità (naturale, ma “ristrutturata”) lunga circa 13 metri e alta oltre 3, trasformata in cripta all’interno della Basilica (ortodossa) della Natività che si affaccia su una piazza detta “della Mangiatoia”, nel centro di Betlemme. Chi scende laggiù trova due altari, un mosaico malconcio e una stella d’argento incastonata nel pavimento, nel punto dove la Madonna avrebbe partorito Gesù: Hic de virgine Maria Jesus Christus natus est avverte una scritta. Ebbene, la venerazione di quella cavità non si basa su prove storiche, né risale ai primi cristiani: la più antica notizia del culto legato al luogo è del 326, il mosaico è d’epoca crociata e la stella fu collocata addirittura nel 1717. Di più: come si diceva, i vangeli canonici non citano grotte; a parlarne sono solo gli apocrifi, quasi tutti del IV-V secolo.
Un esempio, tratto dal Vangelo armeno: “Poi Giuseppe scorse una grotta piuttosto grande, dove dei contadini e dei pastori, che lavoravano nei dintorni, si riunivano e mettevano al riparo le greggi”. Agli apocrifi risale anche la tradizione del bue e dell’asinello. Il primo a parlarne fu un testo (forse del IV secolo) a cui un falsario aggiunse la firma di san Matteo: “Tre giorni dopo la nascita del Signore, Maria uscì dalla grotta ed entrò in una stalla; mise il bambino nella mangiatoia e il bue e l’asino lo adorarono”. La cometa, infine, è un’invenzione artistica del pittore Giotto, che nel 1303-05 la dipinse nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Da allora la cometa è diventata quasi un dogma. Eppure i testi antichi che raccontano la storia dei Magi, come il Protovangelo di Giacomo, parlano solo dell’apparizione di un astro anomalo: “Una stella grandissima, che brillava tra le altre e le oscurava, così che le stelle non si vedevano”.
LA STELLA DEI MAGI. Da secoli molti si chiedono se quell’astro era reale o solo un simbolo letterario. Rispondere al quesito può servire a sciogliere anche un altro interrogativo: quanto tempo fa iniziò l’era cristiana? La domanda può sembrare scontata, visto che oggi contiamo gli anni “avanti Cristo” e “dopo Cristo”. Ma non è così. I dubbi nascono dall’esame di due vangeli canonici, in contraddizione fra loro. Matteo colloca la nascita di Gesù “al tempo del re Erode”. Luca afferma invece che Maria e Giuseppe andarono a Betlemme per un censimento indetto “quando era governatore della Siria Quirinio”. Ma Erode il Grande morì nel 4 a. C. e il “censimento di Quirinio” pare sia del 6 d. C. Quindi i conti non tornano.
L’unica cosa chiara è che Cristo non nacque nel primo anno della nostra era, bensì dopo o (quasi certamente) prima. Per capirne di più occorre passare dal Natale all’Epifania. A far pendere la bilancia a favore dell’ipotesi, a prima vista paradossale, del “Cristo avanti Cristo” è infatti la “stella” dei Magi. Quello strano e luminosissimo astro nel cielo del Medio Oriente, se davvero ci fu, non era né una stella né una cometa, ma forse una congiunzione di pianeti. A intuirlo, nel lontano 1603, fu l’astronomo tedesco Johannes Kepler, che sull’argomento scrisse un trattatello intitolato De anno natali Christi. «Se due pianeti finiscono sullo stesso asse rispetto alla Terra» spiega l’astrofisico recentemente scomparso Corrado Lamberti «chi li guarda ha l’impressione di trovarsi di fronte a un unico grande astro, più luminoso degli altri. Ebbene, sappiamo che nel 7 a. C. Giove e Saturno si trovarono in questa posizione per ben tre volte. Il fenomeno fu notato da astronomi babilonesi, che ne lasciarono traccia scritta».
Fu dunque quell’incontro Giove-Saturno la “stella” apparsa dopo il primo Natale? Probabilmente sì, anche perché la data è precedente la fine del regno di Erode, quindi di compatibile con la datazione della nascita di Gesù tramandata dal Vangelo di Matteo (prima del 4 a. C.). La diversa collocazione temporale suggerita da Luca resta un problema, ma non insuperabile: a porre il censimento al 6 d. C. è una sola fonte, l’antico storico ebreo Flavio Giuseppe, che in fatto di date non era sempre precisissimo. Perciò alcuni storici tendono ad anticipare quel censimento all’8-6 a. C.
PRIMA O DOPO CRISTO. Ma se Gesù nacque davvero nel 7 a.
C., perché il conto del “dopo Cristo” parte dal decennio successivo? Per un involontario errore di calcolo, compiuto da un monaco del VI secolo, Dionigi il Piccolo. E perché gli apocrifi aggiunsero alle scarne notizie sulla natività dettagli come l’asino e il bue? Per mero zelo teologico. «Si voleva far quadrare la vita del Cristo con le profezie bibliche, per dimostrare che Gesù era l’atteso Messia» spiega il teologo Vito Mancuso. Sono due le profezie che hanno dato origine agli animali del presepe. Ma la prima assomiglia agli enigmatici versi di Nostradamus, dove si può leggere tutto e niente: “Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone” (Isaia, 1: 3). La seconda, poi, è solo un errore di traduzione dal greco: “Ti manifesterai in mezzo a due animali” recita una versione latina del libro di Abacuc che confonde il vocabolo zoòn (animale) con zoé (età). Così, per allinearsi a un enigma e a un errore, gli apocrifi falsificarono la Storia.
«In realtà parlare di falsificazione di fronte a casi simili è un anacronismo culturale», osserva Mancuso. «Per chi scriveva nei primi secoli era più importante trasmettere messaggi teologici ortodossi più che notizie storiche esatte. Perciò si ricorreva a espedienti narrativi, a forzature che hanno un nome preciso: “teologumeni”. Ciò vale anche per i testi canonici: se Matteo e Luca affermano che Gesù nacque a Betlemme, probabilmente lo fanno solo per adattare i vangeli a una profezia. Io tendo a credere ad altri passi evangelici, dove si suggerisce che Gesù nacque a Nazareth. Marco, per esempio, afferma che questa cittadina della Galilea e la patrìs di Gesu. E la parola patrìs vuol dire appunto “luogo natale”. Insomma: i vangeli non sono univoci. E gli storici moderni credono più a Marco».
PER LA PROFEZIA. Ma perché Matteo e Luca avrebbero “falsificato” il luogo di nascita di Gesù? «Perche secondo una profezia il Messia “doveva” venire al mondo a Betlemme» conclude lo studioso. Il testo a cui allude Mancuso e un versetto biblico tratto dal Libro di Michea, dell’VIII-VII secolo a. C.: “E tu Betlemme di Efrata, così piccola fra i capoluoghi di Giuda, da te uscirà colui che guiderà Israele”. Cosi, per via di Michea, cade anche l’ultima certezza: dopo la grotta, l’asinello, il bue e la cometa, dalla scena del primo Natale esce persino Betlemme, falsa patrìs di Gesù.