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Come evitare che un carcere diventi un focolaio di contagi. Il caso di Marassi

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AGI  – Seicentocinquanta detenuti, di cui 637 in carcere e i restanti al momento fuori (il decreto Ristori a fine ottobre ha introdotto la possibilità di uscire fino al 31 dicembre per chi ha un residuo di pena di 18 mesi e il permesso di non rientrare in cella di notte per i detenuti in semilibertà, ndr).

Un personale che, tra polizia penitenziaria e civili, oscilla tra le 350 e le 370 unità. Un sovraffollamento che insiste anche in questo anno di pandemia Covid, visto che la casa circondariale di Marassi, a Genova, ha una capienza ottimale di 450 detenuti.

Nonostante questo, il carcere, pur con mille difficoltà, ha cercato di tenere sotto controllo il virus, arrivando a registrare tra prima e seconda ondata un solo picco di 16 casi di positività che, ad oggi, si è ridotto ad un solo caso tra detenuti e zero tra il personale: “Il monitoraggio da parte della Asl è stato eccellente. In più noi siamo stati molto prudenti”, dice all’AGI Maria Milano, dal 2015 direttore della casa circondariale di Genova. 

Con lei abbiamo ripercorso questo quasi anno di emergenza sanitaria per capire come la pandemia, che ha stravolto tutto il mondo, sia stata vissuta tra le mura sorvegliate del carcere:

Subito sospesi i colloqui, contatti solo da remoto

“Appena è scattato il lockdown, sono stati sospesi i colloqui con l’esterno – racconta Milano – Abbiamo immediatamente dato la possibilità ai detenuti di avere colloqui da remoto. Ci siamo attrezzati da subito con telefonini, prima con i nostri in sede, poi utilizzando quelli forniti il Dipartimento. In questo modo siamo riusciti a traghettare questa situazione”.

Non è stato semplice: “Noi non sapevamo nulla: c’era un nemico invisibile di cui non conoscevamo le dimensioni. E anche i detenuti erano in grosse difficoltà – spiega il direttore di Marassi – Per questo abbiamo attivato un’opera capillare di informazione ai detenuti e si è cercato di arginare le situazioni più complicate, dando magari la possibilità di telefonare un po’ più spesso”.

I colloqui in remoto, come quelli in presenza, durano un’ora, e le telefonate 10 minuti: la tempistica è rimasta invariata rispetto al pre covid. “Per i non abbienti, abbiamo messo a disposizione i telefonini dell’amministrazione penitenziaria”, dice Milano.

E così Marassi ha alzato le prime difese contro il virus, chiudendosi in una specie di “bolla”, come nelle Rsa. 

Ma il “nemico invisibile” poteva in qualche modo valicare anche le mura della struttura e insinuarsi tra le celle, nei laboratori, negli spazi comuni: “Le docce, ad esempio, sono in stanza in tutto l’istituto, tranne che in un piano di una sezione. Qui il problema non c’è stato. Le celle sono rimaste con una capienza massima di 6 detenuti. Quando facciamo la domiciliazione fiduciaria, i detenuti sono massimo 4 in cella. Abbiamo l’isolamento quando si presentano sintomatologie legate al Covid e, in questo caso, mettiamo insieme detenuti positivi dalla stessa data”.     

Per quanto riguarda i Dpi, ci sono state varie fasi: “In un primo momento venivano utilizzati solo dal personale e dai detenuti che svolgevano attività lavorativa – spiega Milano – Poi in una seconda fase, quando il Dap ha stabilito che per uscire dalla propria sezione tutti dovevano avere mascherina, abbiamo raccolto i dpi necessari, con una grandissima risposta anche dal territorio. La grande attenzione si è rivolta ai nuovi detenuti, che provenivano da una situazione di libertà, e per tutti coloro che incontravano persone provenienti dall’esterno quali avvocati, magistrati, interpreti, parenti”.

Aumentati i controlli: arrestata una 80enne che portava droga a un detenuto

A maggio poi sono ripresi i colloqui in presenza, ben monitorati e con le giuste precauzioni, in primis i parafiati: “Ma abbiamo notato un abbattimento dei colloqui – sottolinea Milano – Si è passati da 50-60 al giorno, a 10, massimo 18. Responsabilmente, come si fa con gli ospiti delle Rsa, molti parenti hanno scelto di non venire. Alcuni di quelli che vengono, abbiamo notato, di solito sono ‘costretti’. Qualcuno magari si comporta da corriere, provando a portare stupefacenti, e dietro ci sono storie tragiche, donne costrette a farlo: ci è capitato di arrestare una signora di 80 anni, per esempio. Venendo meno persone i controlli sono ancor più capillari”. 

Ma le misure messe in atto per arginare il Covid hanno portato anche a qualche piccolo miglioramento: “Di fronte all’esplosione della pandemia – racconta il direttore di Marassi – molti detenuti hanno manifestato la propria preoccupazione, perché da un lato, sebbene avessero a disposizione i mezzi di informazione, non riuscivano a capire cosa stesse succedendo fuori, un po’ come tutti noi.

Dall’altro temevano per i propri parenti. I colloqui da remoto, le telefonate, hanno in questo senso aiutato tante persone a ristabilire contatti con familiari che non vedevano da tempo, perché magari in Nordafrica, in altri stati. Qualcuno, tramite quel video, poteva entrare di nuovo a casa sua, vedere che magari erano state fatte ristrutturazioni. Un detenuto ci ha mostrato la sua abitazione, un altro il suo gatto che aveva lasciato cucciolo e che ora era un bel micione. Insomma, abbiamo conosciuto tante piccole storie di quotidianità”.

Ad aiutare Marassi a tenere sotto controllo il virus è stata anche l’applicazione di protocolli ben più rigidi di quelli stabiliti a livello centrale: “Siamo stati molto prudenti, anche se è stato complicato riuscire a far capire come mai ci fosse una nota governativa che diceva una cosa e da noi invece venivano applicate misure ancor più restrittive”, dice Milano.

In particolare, “quando un detenuto risultava debolmente positivo, o anche il personale, ed erano passati 21 giorni, la persona continuava ad essere isolata e l’agente non rientrava in servizio. Anche per quanto riguarda lo screening, abbiamo vissuto due fasi: una prima in cui sono stati fatti test sierologici a tutti. E’ stata una parte molto faticosa, perché erano emersi diversi casi di positività. La seconda fase ha visto invece la creazione di un protocollo con la Asl, secondo il quale i detenuti all’ingresso sono sottoposti a tamponi e poi vengono messi in domiciliazione fiduciaria per 8 giorni”. 

“Il tampone viene fatto sia all’inizio che alla fine dell’isolamento. Inoltre, tutte le volte che i detenuti vengono trasferiti in una comunità terapeutica o in un luogo esterno, vengono tamponati sia all’uscita che nel caso in cui rientrino. Per quanto riguarda il personale -prosegue – è altamente consigliato che dopo 7 giorni all’esterno si sottopongano a tampone. Essendo su base volontaria, nel caso in cui non facessero il tampone, devono lavorare con mascherine ffp2. A corollario di questo, vi è uno screening sul personale ogni 15 giorni”.

Il coronavirus ha colpito più duramente la popolazione anziana, non da meno quella del carcere: “In realtà abbiamo avuto solo un anziano ricoverato con Covid – ha precisato Milano – poi è tornato in carcere. Quel che abbiamo constatato è che molto spesso i detenuti anziani non hanno familiari. E anche quando avrebbero potuto usufruire del differimento della pena nella forma della detenzione domiciliare, non avendo domicilio o parente che li accogliesse, a pensare a loro siamo rimasto solo noi”.

Il carcere non è solo pena, ma rieducazione: Marassi ha tantissimi laboratori attivi e un teatro. Il Covid ha però rallentato tutto questo: “Le attività di contatto si svolgono per via telematica – ha spiegato Milano – Molte delle iniziative vanno avanti coinvolgendo detenuti che appartengono alla stessa sezione, con l’obiettivo di evitare promiscuità. Anzi, in alcuni casi si svolgono con detenuti dello stesso piano. Vi è un afflusso minore di volontari: arrivano uno per volta perché cerchiamo di ridurre al massimo i contatti con l’esterno”.

Per Natale un pacco dono a ogni detenuto

E anche per quanto riguarda il Natale, “sarà ridimensionato, come in tutto il mondo – fa notare Milano – Il tradizionale pranzo di sant’Egidio non ci sarà, ma la Comunità regalerà un pacco dono con generi alimentari più speciali per ogni detenuto. Da Coop e Caritas sono arrivati i panettoni. Poi ci sarà la tradizionale Messa con l’arcivescovo di Genova, Mons.Tasca. Consentiremo anche un pò di socialità, ovvero la possibilità per i detenuti di andare sullo stesso piano nella cella di un altro detenuto, a mangiare insieme”.

Il 2021 invece è visto come l’anno del vaccino, con l’obiettivo di mettere fine all’incubo pandemia. In questo senso, Marassi – paragonato ad una Rsa, quindi teoricamente tra le prime realtà ad usufruire dei vaccini a gennaio – in realtà attende indicazioni sulla tempistica. 

Vedi: Come evitare che un carcere diventi un focolaio di contagi. Il caso di Marassi
Fonte: cronaca agi


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