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Come cambiano gli equilibri europei dopo il voto in Francia e Uk: democrazie connesse, effetti anche sull’Italia

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di Stefano de Martis

Resta l’incognita fondamentale del voto americano in autunno, ma al momento il quadro europeo è radicalmente diverso da quello con cui anche a Roma ci si immaginava di doversi confrontare.

Le elezioni che si sono svolte nel Regno Unito e in Francia si sono dimostrate di eccezionale rilevanza non solo per i Paesi direttamente interessati. La storica vittoria dei laburisti a Londra, per quanto ampiamente annunciata, e l’assolutamente imprevedibile esito del voto a Parigi, hanno ribaltato la narrazione che vedeva la destra, anche la più estrema, lanciata in una marcia trionfale apparentemente inarrestabile. Certo, resta l’incognita fondamentale del voto americano in autunno, ma al momento il quadro europeo, considerando sotto questo profilo anche la Gran Bretagna, è radicalmente diverso da quello con cui anche a Roma ci si immaginava di doversi confrontare.

Nel Regno Unito il successo dei laburisti si è accompagnato a un crollo verticale dei conservatori e, nonostante l’exploit di Nigel Farage, si può ben dire che è stata penalizzata la classe politica a cui si deve la Brexit, con le sue conseguenze economiche e sociali.

Il che dovrebbe accendere più di un campanello d’allarme tra gli euroscettici (e gli antieuropei) nostrani. Il caso francese, a sua volta, investe direttamente le vicende della Ue e quindi anche le nostre, che a quelle sono indissolubilmente legate (e sarebbe ora che tutti, a destra come a sinistra, se ne rendessero conto).

Non sappiamo ancora quale governo nascerà a Parigi, ma sicuramente non sarà un governo come quello che sognava la Le Pen, visto il successo del nuovo Front populaire. E tutto sommato lo stesso presidente Macron esce rinfrancato da una scommessa che pure presentava rischi enormi per lui e il suo Paese. Tenuto poi conto che a Berlino governa il socialdemocratico Scholz e a Madrid il socialista Sanchez, è del tutto evidente che i margini di movimento per Giorgia Meloni siano ristrettissimi.

Nella partita interna al destra-centro italiano, però, il voto francese rappresenta soprattutto un duro colpo per Salvini che ha un sodalizio robusto e di antica data con la Le Pen, a differenza della premier che è schierata con un’altra famiglia della destra europea.

Questa situazione potrebbe spingere la Meloni su posizioni più moderate, trovando una sponda in Forza Italia e rinunciando a rincorrere il leader leghista nelle sue scorribande anti-Ue. Anche sul piano delle riforme istituzionali, del resto, la prospettiva di puntare direttamente sui referendum saltando ogni mediazione appare oggi ancora più rischiosa di quanto già non fosse prima.

L’esperienza francese conferma che l’alleanza “tutti contro” la destra può non essere sufficiente per costruire una maggioranza di governo alternativa, ma può bastare se si tratta di fare argine verso un’operazione considerata pericolosa.
Il problema si pone in maniera speculare nell’altro schieramento. Elly Schlein e i suoi alleati effettivi e potenziali hanno ovviamente accolto con entusiasmo il voto di Londra e di Parigi.

Ma si trovano di fronte a una scelta molto impegnativa sul piano strategico. Il modello francese testimonia che la destra può essere battuta con quello che da noi si chiamerebbe “campo largo”, ma se si tratta di presentarsi agli elettori come una maggioranza di governo credibile il discorso è ben diverso. Il modello britannico, a sua volta, è di tutt’altra natura: un solo partito e una proposta programmatica di stampo riformista.

In ogni caso contano in misura decisiva i sistemi istituzionali ed elettorali. Keir Starmer ha ottenuto circa il 63% dei seggi con il 33,9% dei voti, in virtù di quel sistema uninominale a un turno che è un classico della tradizione inglese e che con alcune varianti piacerebbe anche alla destra di casa nostra. Tutto lecito, ovviamente, e la vittoria politica dei laburisti è incontrovertibile. Ma si tratta pur sempre di minoranze che diventano maggioranze.

Da noi la materia è oggetto di discussione e, anche se si tratta di argomenti ostici, i cittadini dovrebbero tenere gli occhi ben aperti. Non a caso il presidente Mattarella, parlando a Trieste dei pericoli per la democrazia, ha puntato il dito contro quelle situazioni in cui “il principio ‘un uomo-un voto’ venga distorto attraverso marchingegni che alterino la rappresentatività e la volontà degli elettori”.