Il coronavirus fa tornare la voglia di nozze tra governi e banche centrali. E immancabili si riaffacciano le polemiche sulla decisione che, nel 1981, sancì il divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia, che fino allora aveva avuto l’obbligo di comprare in asta i titoli di Stato non collocati presso il pubblico.
“Fu una scelta assurda e sbagliata”, dice Giulio Sapelli. “Determinò un’esplosione del debito pubblico, lasciando che i rendimenti dei titoli di Stato venissero determinati dal mercato internazionale e dalla speculazione. Il pilota automatico della politica economica italiana comincia da lì, ben prima dell’euro”.
Oggi, incalza l’economista, c’è “soltanto una soluzione” per trovare le risorse necessarie ad affrontare la crisi: “il lancio di un grande prestito per la ricostruzione nazionale”. Si tratterebbe, spiega, “di un’emissione a bassissimo tasso d’interesse, non forzosa, non tassata, garantita dal patrimonio dello Stato e a lunghissima scadenza, in una prima fase aperta ai soli investitori nazionali, ponendo le banche al centro, come fu fatto nel ’48”.
Sulla strada di un matrimonio più stretto con i governi si sono intanto mosse con decisione sia la Banca d’Inghilterra che la Fed. La Boe ha annunciato che finanzierà direttamente, su base temporanea, le spese extra dell’esecutivo britannico per far fronte all’emergenza. Il conto bancario di Downing Street presso la banca centrale, storicamente noto come “Ways and Means Facility”, potrà essere utilizzato per importi illimitati, consentendo ai ministri di spendere senza dover attingere al mercato obbligazionario. L’istituto centrale statunitense si è invece impegnato a comprare i bond emessi dalle amministrazioni statali e municipali con linee di credito dedicate.
Nell’Eurozona, però, una scelta simile non è allo stato realizzabile: i trattati dell’Unione vietano esplicitamente il finanziamento diretto dei governi. Per questo la Bce opera tramite specifici programmi di acquisto sul mercato secondario, nel tentativo di mantenere sotto controllo i tassi d’interesse sui titoli di Stato senza finanziare i disavanzi dei singoli Paesi con emissione di base monetaria. Il rischio è che di fronte alla devastazione provocata dall’epidemia l’intervento “indiretto” possa però rivelarsi insufficiente.
A iniziare a pensare a un ‘piano B’, dove la banca centrale torna a farsi prestatore di ultima istanza e garante del collocamento del debito, è, ad esempio, Gustavo Piga, professore ordinario di Economia politica presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata. “Se la crisi dovesse diventare veramente profonda – ancora non lo è, anche se già ‘morde’ tanto – si inizi a pensare a una mossa analoga” a quella della Boe, afferma.
“Abbiamo già sospeso i trattati per il patto di stabilità e crescita, non escludiamo di sospendere quelli della Banca centrale europea”, aggiunge. In questo modo, sostiene, sarebbe possibile “comprare direttamente titoli di Stato in asta come adesso fanno gli inglesi” e, “se le cose dovessero peggiorare ulteriormente”, si potrebbero anche “mettere soldi direttamente sui conti correnti di imprese e cittadini con lo stampo diretto di carta moneta”.
Anche l’ex capo economista del ministero dell’Economia, Lorenzo Codogno ricorda che “nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea c’è il divieto esplicito di finanziamento dei Governi con base monetaria”. Ma una soluzione più semplice, che non implichi un cambiamento degli accordi, osserva, c’è ed è utilizzare le linee di credito del Mes per intervenire sul mercato primario. Per l’economista, tuttavia, l’iniziativa della Boe è comunque “un po’ pericolosa” perché “fa entrare direttamente la Banca di Inghilterra nella politica di Bilancio” e “se l’avessimo detto dieci anni fa”, conclude, “alla gente si sarebbero rizzati i capelli”.
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Fonte: economia agi