«La Severino è una legge chiara su incandidabilità e ineleggibilità. Poi c’è un problema di opportunità a candidarsi, ma non può essere messo solo sulle spalle del candidato. Sono gli elettori che devono decidere. In Sicilia è saltato questo passaggio e ciò ha moralmente devastato la politica, liberata da queste scelte, lasciate ai magistrati e ai candidati. Mai agli elettori». È un giudizio forte, quello di Claudio Fava, giornalista, segretario dei Ds in Sicilia tra il 1999 e il 2001, ex presidente della commissione regionale Antimafia, sul caso di Roberto Barbagallo e degli altri sindaci condannati o indagati ed eletti alle ultime amministrative. La colpa è degli elettori? «In Sicilia gli elettori ritengono che, se non intervengono i magistrati, non ci siano comportamenti riprovevoli che vadano valutati come tali. È accaduto con il caso Montante: nel suo cerchio magico c’erano molti che non hanno tenuto comportamenti penalmente rilevanti. Ma nessuno ha dato una valutazione morale su di loro e molti sono ancora lì, ancora eletti. Poi, più del caso del sindaco di un Comune di terza fascia, c’è il depistaggio Borsellino. Non chiama in causa soltanto le responsabilità penali previste dal codice ma molti altri atti di distrazione, tolleranza, ansia di carriera. Che avevano un profondo rilievo civile e morale. Qualcuno, la pubblica opinione, ha chiesto il conto di questo?». Insomma, la Severino non basta. «La legge è centrale, ma gli elettorihanno l’infinita potestà di esprimere con il voto una loro legge morale. Noi abbiamo fatto in modo che la legge morale si sovrapponesse e coincidesse con la legge penale. Questo è un pensiero malato che lascia fuori una serie di comportamenti che giustamente non puoi sanzionare penalmente. Il cittadino dice: “Se non interviene il giudice, perché non devo votare il candidato?”. Per questo il problema diventa l’applicazione della Severino». Un fenomeno nuovo o antico? «Il portato di un’antica furbizia: se io ho un legame col candidato di amicizia, clientelismo, reciproca protezione, interesse, devo mantenere questo legame. L’elettore dovrebbe far prevalere la morale sulle necessità materiali. La politica viene vista come un fatto privato fra eletto ed elettore e non una questione pubblica collettiva che forma e definisce il senso morale di una nazione». Un politico che non rispetta le regole rassicura i cittadini sul fatto che non le farà rispettare neanche a loro? «Sì, c’è anche questa trasmissione per proprietà transitiva. Un abbassamento del decoro complessivo della politica conviene a tanti, eletti ed elettori che preferiscono procurarsi scorciatoie, trasformando il diritto in una pretesa e il dovere in un ostacolo». I partiti non sono un argine? «Questi partiti li conosciamo, hanno avuto una metamorfosi ontologica. Erano un luogo collettivo, di sapere condiviso. Adesso sono piccole accademie dove si costruiscono carriere private, da una parte e dall’altra. Sono la somma degli interessi di alcuni, non sono soggetti adatti a pretendere il rispetto della questione morale». Cosa pensa della proposta di legge Nordio per cancellare il reato di abuso d’ufficio? «Ho un atteggiamento laico: era un reato di carta velina. Poteva rendere il più onesto dei sindaci passibile di subire l’umiliazione di questo reato. Il sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, in odore di santità, sarebbe finito un sacco di volte sotto processo quando voleva un bicchiere di latte sul banco di scuola di ogni bambino. Sono più preoccupato per le intercettazioni: si rischia di compromettere il rapporto fra la verità e il suo racconto assicurato dai media». — g. a.
Fonte: Repubblica