Il poeta svampito la cui memoria sta svanendo pian piano cancellata dall’Alzheimer del film ‘Tutto quello che vuoi’ di Francesco Bruni resterà l’ultima grande interpretazione di Giuliano Montaldo. Il regista di ‘Sacco e Vanzetti, di ‘Giordano Bruno’ di ‘Il giocattolo’ e ‘Gli occhiali d’oro’ è anche l’unico ad avere frequentato, saltuariamente e in punta di piedi, il set come attore per circa settant’anni. Ha preso parte a film (non suoi) diventati comunque pietre miliari del nostro cinema – da ‘Achtung, banditi!’ (1951) e ‘Cronache di poveri amanti’ (1954) di Carlo Lizzani a ‘Gli sbandati’ (1955) e ‘La donna del giorno’ (1957) di Citto Maselli, da ‘Il lungo silenzio’ (1993) di Margarethe von Trotta da ‘Un eroe borghese’ (1995) di Michele Placido a ‘Il caimano’ (2006) di Nanni Moretti, da ‘L’abbiamo fatta grossa’ (2016) di Carlo Verdone a ‘Tutto quello che vuoi’ (2017) di Francesco Bruni – dimostrando una tenacia e una passione per il cinema che negli anni se possibile si è rafforzato. Montaldo attore era bravo, sfruttava la sua naturale eleganza per rendere i suoi personaggi sempre molto interessanti, anche quando i ruoli erano piccoli. Una classe e una capacità attoriale di cui si è reso conto Francesco Bruni che lo ha voluto con forza nel ruolo dell’anziano poeta malato di Alzheimer del suo film.
Lo stesso Montaldo ha raccontato che “qualche volta amici come Nanni Moretti, a cui voglio molto bene, la von Trotta, il primo film di Placido o Verdone mi hanno chiesto piccole partecipazioni che ho fatto con simpatia. Poi è arrivato Francesco Bruni – ha aggiunto – e mi ha detto: ho pensato solo a te per questo film. Ed eccomi dall’altra parte della macchina da presa”.
Sessantasette anni dopo il suo debutto come attore, la chiusura del cerchio nella maniera più bella possibile: un gran ruolo e un premio David di Donatello (miglior attore non protagonista) che non ha mai ricevuto neppure come regista.
Come raccontò lo stesso Montaldo, a Genova nel 1950 il debutto in ‘Achtung banditi!’ avvenne perché Carlo Lizzani lo scovò in un teatrino dove “gigioneggiava da dilettante”. A vent’anni, Lizzani gli affidò la parte di commissario partigiano, lui che partigiano bambino lo era stato davvero nei Gap – Gruppi d’azione patriottica di Genova. Quell’anno si trasferì a Roma con la cooperativa del film, che progettava ‘Cronache di poveri amanti’. “Lì oltre a recitare iniziai ad affiancare il mio mentore Lizzani – raccontò poi Montaldo – dormivo ospite di Gillo Pontecorvo con altri giovani, una comune in cui si parlava di cinema. Franco Giraldi, Solinas. Gillo è stato un fratello, l’ho amato per il rigore. Roma era piena di cinema e cineasti”. Da lì la passione della recitazione lasciò il posto a quella della regia e Montaldo divenne uno degli autori più importanti del cosiddetto cinema d’impegno civile. Con lo stesso Carlo Lizzani, Francesco Rosi, Gillo Pontecorvo, Florestano Vancini, Damiano Damiani, Vittorio De Seta, Elio Petri o Giuseppe Ferrara. Eppure non disdegnò di salire sul set, più per amore del cinema che per vanità di attore. In ruoli piccoli se non addirittura in camei. Fino all’ultimo film in cui ha voluto dimostrare che era anche un grande attore. Una curiosità: confessò di non aver mai rivisto un suo film da regista, mentre quelli in cui recitava come attore riusciva a rivederli. (AGI)
CAU