“In queste ore in Parlamento si sta discutendo della riforma del Tusma, (Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e radiofonici) sul quale la spinta alla deregulation propugnata dagli streamers non può non destare allarme, in un momento storico in cui il mercato dello streaming sta registrando una crescita esponenziale e molto rapida con conseguente aumento dello sfruttamento delle opere in tutte le forme”. Gli autori delle associazioni 100 Autori, Anac e Wgi che rappresentano “la quasi totalità degli autori e delle autrici d’Italia”, denunciano che in un momento così importante “nessuno ha ritenuto opportuno convocarci per essere auditi in Commissione. Non può essere questa la ‘ratio’ che guida una riforma che incide così profondamente nella nostra professione”.
“Sono mesi che chiediamo un dialogo su vari fronti con le istituzioni attraverso appelli, comunicati stampa, email, che vengono sistematicamente ignorati – denunciano gli autori – siamo gli autori dei film che ci rappresentano agli Oscar o che battono i record al botteghino, siamo quelli che hanno le idee, scrivono le storie che diventano le serie di successo, che raccolgono share e visualizzazioni. Siamo anche, per larga parte, gli autori e le autrici dei piccoli ma preziosi progetti indipendenti che portano il cinema d’autore ai festival italiani e internazionali. Rappresentiamo una diversificazione necessaria e vitale per tutto il settore. Le società di produzione, i network, i distributori, le sale cinematografiche e le piattaforme non potrebbero produrre e trasmettere nulla se non esistessero le nostre storie e quindi le persone come noi, che le creano”.
I 100 Autori, Anac e Wgi si interrogano se c’è “un motivo strutturale per cui si stanno valutando modifiche al testo che regolamenta un comparto di vitale importanza per la crescita tanto culturale quanto industriale del paese quale quello dei media audiovisivi? Qual è? Noi vorremmo conoscerlo, perché nessuno ce lo ha detto, né ce lo ha chiesto – scrivono – mentre quello che sappiamo è che il sistema in questi anni ha funzionato, ha dato la possibilità al cinema e all’audiovisivo italiano di svilupparsi e di uscire dai confini del Paese con film, documentari e serie di grande successo internazionale, contribuendo a creare l’identità culturale e l’immaginario del nostro paese”. “Allora cosa c’è che non va?”, si chiedono gli autori cinematografici. “Cosa dev’essere riformato, perché, e soprattutto: per chi? E’ chiaro che i cambiamenti tecnologici in atto comportano delle sfide da affrontare e delle opportunità da cogliere, ma questo può avvenire solo aprendo un confronto con tutte le componenti del comparto”.
Alla fine della loro lettera 100 Autori, Anac e Wgi elencano alcune delle criticità che a loro giudizio sono emerse riguardo alle proposte di riforma attualmente allo studio, segnalate in una nota inviata alle Commissioni parlamentari che se ne stanno occupando: “La mancata tutela delle quote di investimento per le produzioni di qualità realizzate dai produttori indipendenti ed eccessiva discrezionalità in materia di deroghe; la problematica relativa alla mancata definizione di “produttore indipendente” e al suo allineamento all’attuale contesto tecnologico e di mercato; la mancata previsione di una regolazione a livello di contenuto dei contratti, volta a correggere le asimmetrie nei pesi di negoziazione tra industria culturale indipendente e piattaforme e negli accordi contrattuali imposti da queste ultime; l’assenza di norme volte ad eliminare “storture” per quanto riguarda il mercato dello streaming, caratterizzato a oggi da una preoccupante opacità perché la gran parte delle piattaforme non comunica i dati previsti dal dettato normativo, o, nel migliore di casi, lo fa in maniera molto carente o incompleta”.
Secondo 100 Autori, Anac e Wgi, infine, è preoccupante “la mancata previsione, nel provvedimento in esame, di una regolazione a livello di contenuto dei contratti orientata a tutelare la produzione culturale e i diritti degli autori e artisti interpreti e di misure. Su tali aspetti il Governo mantenendo una politica di deregolamentazione che tutela al massimo grado la libertà dei contraenti, non è intervenuto nell’atto in esame per correggere i meccanismi del mercato che portano inevitabilmente a una posizione di soggezione della produzione indipendente”.
“Resta la nostra domanda – concludono gli autori cinematografici – per chi è questa riforma? A cosa deve servire? Noi restiamo convinti che non si può riformare un settore senza prima aver ascoltato chi lo alimenta e lo rende vivo”. (AGI)
CAU