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Cinecittà alle falde dell’Etna: la “Hollywood sul Simeto”

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La gloriosa epopea cinematografica di Catania, piccola capitale della “settima arte” nel secondo decennio del XX secolo, con ben quattro case di produzione vissute tra il 1914 e il 1916.

Di Franco La Magna

critico e storico cinematografico

A cavallo tra il XIX e il XX secolo fermenti culturali di molteplice natura collocano Catania, al centro di una caotica ed esaltante germinazione intellettuale, sociale ed artistica. A svettare tra i protagonisti della rinascita economica della città, clamorosamente rappresentata dalle turrite raffinerie dello zolfo, è il catanese Alfredo Raimondo Alonzo – magnate etneo, incontrastato e ammirato “re dello zolfo” siciliano – che ammaliato dal fascino già irresistibile della celluloide e catturato dal meraviglioso giocattolo cinema fonda, con atto notarile datato 31 dicembre 1913 rogato dal notaio Antonino Mirone di Eusebio di Mascali e omologato il 21 gennaio 1914, l’Etna Film, “Società Anonima per la fabbricazione di pellicole cinematografiche” con capitale sociale di lire 200.000 “diviso in 2000 azioni dal lire 100 l’una”, dando la stura ad una dinamica industria cinematografica che, tra mecenatismo ed avventurismo, segna il punto più alto della “golden age”produttiva catanese e fa gridare (naturalmente ai posteri) al miracolo di una “Hollywood sul Simeto”. La durata della società viene ottimisticamente fissata fino al 1943

Nella città etnea gli anni tra il 1905 e il 1913, si caratterizzano – dopo l’arrivo alla fine dell’800 del cinema ambulante nel dicembre 1896, come informa alla fine di novembre “Il Corriere di Catania” e qualche giorno dopo “il D’Artagnan” diretto da Nino Martoglio (n. 49, anno V) – essenzialmente per l’apertura delle sale stabili: dallo storico teatro “Sangiorgi”, inaugurato nel 1900, poi esercizio stabile dal 1905 (ingresso “per pochi baiocchi” come si legge ancora sul n. 38 de “il D’Artagnan”), fino al sontuoso liberty “Olympia” (opera dell’architetto Francesco Fichera) inaugurato nel 1913 con il kolossal “Quo Vadis?” di Enrico Gazzoni ed oggi scriteriatamente trasformato in un Mc Donald’s, dopo una lunga fase di proiezioni hard-core. Un pezzo di storia cittadina distrutto dagli hamburger d’oltreoceano. Chiusa dunque rapidamente la fase pionieristica, tra il 1914 e il 1916 sono ben quattro le case di produzione sbocciate all’ombra del vulcano: oltre all’ “Etna Film”, nascono la “Katana Film”, la “Sicula Film”, la “Jonio Film”, tutte con sede a Catania, una coeva presenza che genera una tumultuosa e fervida attività imprenditoriale, cinematograficamente produttiva, creando dal nulla i primi set, scoprendo suggestive location e spingendo con forza la città di Verga e Bellini in quel circuito virtuoso del “policentrismo produttivo”, in Italia tratto peculiare dei primi decenni della neonata “settima arte”.

L’ “Etna Film” del cavalier Alonzo secondo la dissennata e megalomane tendenza del tempo, già  contraddistinta dal vincente dannunzianesimo culminato nello spettacolare “Cabiria”(1914) – tutt’altro che intimorita dal magniloquente filone della romanità (che tuttavia momentaneamente colloca l’Italia all’apice della produzione mondiale ed incanta registi come l’americano Griffth), non esita a lanciarsi anch’essa in quello stesso 1914 nell’avventura del “kolossal”, subito producendo l’agiografico-religioso Christus o La sfinge dell’Ionio di Giuseppe De Liguoro, regista già noto ed esperto, proveniente da Milano e destinato a divenire il “metteur en scéne” numero uno della nutrita scuderia artistica della casa di produzione catanese. Christusimpegna centinaia di comparse oltre ad un cast piuttosto blasonato (Giulia Cassini Rizzotto, Alfonso Cassini, Alessandro Rocca, Oreste Grandi e Orlando Ricci) e punta, avventuristicamente e vanamente, alla conquista del mercato internazionale. Film in costume, storia dell’impossibile amore della ria Xenia per il giovane Christus, innamorato della dolce Myriam, con puntuale e atroce morte della prima, ambientato in parte nello specchio d’acqua del golfo di Catania con l’utilizzo di un numero elevato di attori e comparse e in una villa (ancora esistente) dello stesso Alonzo, trasformata in reggia, Christus costituisce lo sforzo economico più imponente, ma inutile e pernicioso, della neonata casa di produzione catanese che mira probabilmente, senza il supporto di adeguate strutture, alla conquista del mercato intaccando gravemente le riserve finanziare, dissanguando le proprie casse e ottenendo una risposta del tutto inadeguata al dispendioso impegno profuso. L’”Etna” tuttavia, continua a sfornare titoli fino al 1916, anno in cui la crisi provocata dalla bufera bellica, la chiusura dei mercati, la partenza delle maestranze per il fronte, le errate scelte produttive e i continui contrasti interni ne determineranno l’inopinata chiusura.

Accogliendo un rigido criterio selettivo, quindi scartando l’ipotesi non peregrina che alcuni titoli siano stati immessi sul mercato con i marchi d’altre case di produzione, della prolifica “Etna Film”, per quanto concerne lo stesso 1914, si ricordano ancora: i melodrammatici L’appuntamento(o Rendez-vous o ancora L’appuntamento della contessa) regia di Giuseppe De Liguoro (ferale drammone cotruito intormo ad presunto tradimento di una contessa), Paternità regia di Gian Orlando Vassallo (pover’uomo ingiustamente accusato dai figli di aver fatto morire la madre), lo stesso Christus e La danza del diavolo sempre di De Liguoro (una ballerina maliarda, categoria di donne perdute ed infernali, molto in voga nel cinema del tempo in un clima di esasperato divismo, fa invaghire di se un principe, il quale presto se ne disamora, provocando l’atroce vendetta della donna abbandonata).I film arrivano tutti sullo schermo nel dicembre dello stesso anno. Per recuperare denaro, l’ “Etna” s’ingegna anche a  produrre una  piccola serie di comiche di breve durata, quando già però volge al termine il tempo delle torte in faccia: I due colombi, L’istitutrice, In caserma, Notte d’amore e La sportwoman (sui quali tuttavia nessuna certezza esiste in merito alla distribuzione e circuitazione)  tutti per la regia di De Liguoro e tutti interpretati da Cryzia Calcott. Nel 1915 seguono La coppa avvelenata regia attribuita ad Enrico Sangermano, con l’opulenta Lia Monesi-Passero nei panni di una maliarda; Il cavaliere senza paura regia di Giuseppe De Liguoro, improbabili avventure d’un cavaliere cinquecentesco); Poveri figliuoli! regia, soggetto e sceneggiatura di Giuseppe De Liguoro, storia d’una invidia sfociata in tragedia; Idillio al fresco eLa perla nera, dei quali si sconoscono perfino le regie; Il nemico, noto anche come Il garibaldinoregia, soggetto e sceneggiatura di Giuseppe De Liguoro, glorioso episodio risorgimentale; il patetico-sentimentale Pulcinella unica regia per l’ “Etna” di Anton Maria Mucchi (anch’egli già esperto come De Liguoro), su soggetto di De Liguoro, vita grama d’un giovane orfano alla fine riscattata; Patria mia! ovvero I martiri della rivoluzione francese regia e soggetto di Giuseppe De Liguoro, cruda vicenda di vendetta e castighi. Infine La dama bianca (probabile regia di De Liguoro), povera mentecatta che salva una fanciulla insieme ad un aitante pittore.

Dell’Etna Film oggi, riattati, restano ancora i “grandiosi” locali creati a Cibali siti in via Stazione (l’attuale via Casagrande) una volta elegante sede di uffici, laboratori (falegnameria, sartoria, tipografia, sala di proiezione…), camerini e perfino un grande teatro di posa in vetro e ferro, per un totale allora di oltre due decine di migliaia di mq. Insomma una vera e propria Cinecittà ante litteram, sebbene in sedicesimi, che il “geniale” cavaliere catanese venderà poco prima di morire nel 1920, dopo aver tentato un’impossibile renovatio, sbarazzandosi di “tutto il materiale mobile ed immobile per destinazione inerente all’industria cinematografica esistente nell’Etna Film a Cibali, giacente negli stabilimenti della Società Anonima Alonzo & Consoli, nonché tutto il materiale ricavato dallo smontaggio del grande teatro in ferro e vetri…Il prezzo della vendita è stabilito nella somma complessiva di lire cinquecentomila”; dalla vendita sono esclusi ma escludendo, oltre agli impianti elettrici ed una serie di macchinari, anche “…tutte le films che vi sono…nonché gli scaffali con films negative e positive” (allora la parola film era considerata di genere femminile). La vendita dell’immobile si concluderà soltanto molti anni dopo e ad un prezzo pari alla metà di quello originario.

Anche la “Katana Film”, fondata da Alfio Scalia e Giuseppe Coniglione con sede in via Lincon (oggi via Di Sangiuliano), operatore il “barone” catanese Gaetano Ventimiglia (Catania 1888-Roma 1974), come lo battezza Alfred Hitchcock con il quale sarà nella troupe di tre film del periodo inglese firmati dal maestro della “suspance”, indi divenuto direttore tecnico della Cines, infine docente del Centro Sperimentale di Cinematografia e inventore di due macchine da presa – e le più piccole “Jonio Film” di Francesco Benanti (situata in via Quartiere Militare e impegnata soprattutto nel documentarismo) e “Sicula Film” (creata dall’avvocato Gaetano Tedeschi dell’Annunziata, con sede in via Umberto 50), prive delle necessarie dotazioni tecniche per proseguire l’attività già gravemente danneggiata dallo scoppio della prima guerra mondiale, crolleranno trascinate dal repentino declino dell’Etna.

Regista di tutti i film della “Katana Film”, che nonostante gli ambiziosi annunci alla fine ne realizza appena cinque, tutti con visto censura del 13 gennaio 1916, quindi girati presumibilmente nel 1915) è il versatile avvocato-scrittore catanese Raffaele Cosentino, che per drammatico Il latitante – dalla trama vertiginosa ma con una conclusione “pacificatrice” –  si avvale di un soggetto del giornalista-commediografo Peppino Fazio (anch’egli catanese, fondatore del settimanale mondano “L’intervista”) e di uno straordinario cast locale: Virginia Balestrieri, Francesca Anselmi Quintavalle, Desdemona Balestrieri (moglie di Angelo Musco) e la “ditta” Mariano Bottino e Attilio Rapisarda, già in indissolubile sodalizio teatrale e cinematografico che durerà fino agli anni ’50. Di matrice letteraria anche Per te, amore!, altro dramma tratto dalla scrittrice etnea Tina Zappalà Paternò (storia di un amore rimasto irrealizzato, tragicamente chiuso da un suicidio).  Gli altri tre titoli sono: La guerra e la moda, sullo stravagante mondo della moda; la commedia Il signor Diotisalvi (probabilmente rimasto entro i confini isolani) e Anime Gemelle, anche questo scarsamente circuitato. L’annunciato Pasquale Bruno,  che si sarebbe dovuto trarre dal lavoro di Alessandro Dumas, quindi film in costume, appartiene al mondo dei sogni di una piccola Casa di produzione, nata con altre ambizioni stroncate pressoché sul nascere nel breve volgere d’una manciata di mesi.

Solo cinque titoli vanta di contro (tre lungometraggi, un quarto editato ben dieci anni dopo ed un documentario) la “Sicula Film” (fondata dall’avvocato Gaetano Tedeschi dell’Annunziata) tutti per la regia di Giano Orlando Vassallo e tutti interpretati da Elvira Radaelli (proveniente dalla “Etna Film”). Sbocciata in periodo bellico la Casa etnea appronta prevalentemente soggetti di ambiente militare: il patriottico Alba di libertà (1915); il sentimental-patriottico Presentat’arm(1915, due amici, Luigi e Andrea, divisi dall’amore per la stessa donna si rivedono al fronte entrambi uniti per liberare Trieste; per salvare Luigi ferito, Andrea muore e a quest’ultimo si tributa il “presentat’armi”).  Segue il dramma passionale in quattro parti Il vincolo segreto (1916). Caso del tutto anomalo è quello de La canzone del fantasma (1916) regia di Gian Orlando Vassallo, soggetto tratto da un dramma di Alberto Paternò Castello, editato dieci anni dopo (1926). Del film, misteriosamente rimasto inedito per ben un decennio, ne parla diffusamente lo stesso regista in uno scritto apparso nel 1923 che ne descrive dettagliatamente la sinossi, spiegando anche didatticamente nel cappelletto introduttivo i motivi della scelta della Sicilia (la straordinaria bellezza del paesaggio e la passionalità del popolo siciliano, di cui intende esaltare non “il lato violento del suo temperamento” bensì “tutta la dolcezza della quale possiede larga dovizia”. Sinossi iperbolica e strappalacrime: innamorato della ricca Nedda, Turi viene respinto dal padre. Tornato dopo anni senza la memoria intona una canzone che aveva scritto per Nedda. Costei una notte lo sente cantare e come impazzita esce ma precipita da una torre e muore, mentre Turi ormai scemo e incosciente continua a cantare la sua canzone.

Ancor peggio andrà alla “Jonio Film”, fondata nel 1915 da Filippo Benanti (industriale del vetro), al suo attivo solo due film: Valeria (1916), altro peplum d’ambiente romano rimasto inedito, interpreti lo stesso Benanti improvvisatosi regista e la moglie e Gli irredenti (1916), scarsamente circuitato nel solo territorio isolano. Di difficile valutazione la reale consistenza del materiale documentaristico (feste padronali, fatti di cronaca, ecc…) andato tutto perduto, ma indubbiamente molto più numeroso.Chiude qui tristemente la rutilante meteora della “Hollywood sul Simeto”. Nessuno di tutti i film girati delle case di produzione catanesi (una trentina al massimo) nonché siciliane, è sopravvissuto all’estinzione, vittima dell’incuria, dell’inconsapevolezza e d’una scriteriata furia iconoclasta abbattutasi sul cinema muto all’indomani dell’introduzione del sonoro. Oggi ne attestano la presenza sbiadite cronache e noterelle di riviste fortunatamente scampate al massacro del tempo e all’indifferenza degli uomini, le cui informazioni sono state pazientemente raccolte nel preziosissimo archivio, ricavato altresì dai visti censura del Ministero, curato da Aldo Bernardini e le monumentali pubblicazioni di quest’ultimo e del compianto Vittorio Martinelli. Per molti anni ancora dopo la nascita del cinema, paradossalmente sarà più il “cartaceo” che l’immagine ad avere un’importanza determinante per la memoria della cultura cinematografica ed è e sarà spesso la sola fonte (laddove ovviamente il film è andato perduto o distrutto, quindi in buona parte dei casi) da cui poter attingere notizie sul cinema muto, purtroppo abbastanza frequentemente, come il più famoso dei film firmati dall’eclettico Martoglio irrimediabilmente “sperduto nel buio”, ma sul quale soprattutto negli ultimi decenni molti studi sono stati compiuti da storici, critici, ricercatori “irregolari” locali o semplici cinefili. Luci più o meno fioche finalmente accese, grazie anche a fortunosi e faticosi ritrovamenti di cineteche ed altre istituzioni, che con un amore ed una dedizione al di la del mero impegno professionale continuano quotidianamente a restituire al mondo intero un patrimonio culturale e un giacimento iconografico d’inestimabile valore.


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