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Chi gestisce il plusvalore?

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Nella fase storica in cui ci troviamo la decisione sull’impiego del plusvalore spetta al capitale sia a livello di impresa privata sia a livello di decisioni politiche ovvero di scelte politiche nazionali

di Renato Costanzo Gatti

In una economia non stazionaria, che cioè alla fine del ciclo produttivo abbia creato più ricchezza di quella immessa nella produzione, che oltre al reintegro di quanto consumato renda disponibili maggiori risorse da destinare all’estensione della produzione, ritroviamo una logica affermazione che si può esprimere come lo esprime il Teorema marxiano fondamentale:” il saggio del profitto è positivo se e soltanto se il saggio di pluslavoro è positivo. Ma dire che non c’è profitto senza pluslavoro, non è la stessa cosa che affermare che non c’è profitto senza sfruttamento”. Non necessariamente tutto il plusvalore va erogato a chi lo produce se vogliamo che l’economia non si insabbi. Marx stesso affronta questo tema nella Critica del programma di Gotha, in cui il tema delle decisioni che riguardano l’accumulazione è affrontato con forza. Qui Marx, nel 1875, muove una critica decisa ad alcune proposizioni contenute nel programma elaborato al congresso di Gotha dai socialdemocratici tedeschi. Marx critica l’uso acritico di espressioni come il diritto dei lavoratori a ripartirsi i prodotti del lavoro, e insiste sulle detrazioni che debbono essere effettuate, in particolare quella destinata alla “estensione della produzione”.

Posto quindi che il plusvalore non va immediatamente consumato come reddito corrente dei fattori della produzione, ma che esso va utilizzato per ripristinare le condizioni preproduzione e per estendere la stessa, rimane il problema di chi debba decidere come gestire il plusvalore, cosa produrre e come produrre.

Nella fase storica in cui ci troviamo la decisione sull’impiego del plusvalore spetta al capitale sia a livello di impresa privata sia a livello di decisioni politiche ovvero di scelte politiche nazionali.

La golden rule, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo, tende a correggere la tentazione del capitale di trattenersi tutto per sé l’incremento di plusvalore prodotto dalla produttività, e l’articolo dimostra abbastanza chiaramente che la correzione apportata dalla golden rule non solo ridà al lavoro parte dei frutti della produttività, ma apporta anche benefici all’economia incrementando la massa dei consumi e quindi offrendo uno sbocco alla maggior produzione ottenibile con l’aumentata produttività, permettendo quindi di mantenere la stessa forza lavoro. Il processo, quindi, è autoriproduttivo e si autoalimenta con un trend positivo di sviluppo.

A ben vedere però, l’incremento di salario generato dall’aumento della produttività, aumenta è vero il tenore di vita del mondo del lavoro, ma, per far funzionare la positività dell’operazione, deve essere trasformato in maggiori consumi e quindi generare maggiore domanda perché torni quell’equilibrio con l’offerta dopo i mutamenti apportati dalla produttività.

Osserviamo quindi che la golden rule, migliorando il processo produttivo a seguito dell’incremento di produttività, riconosce al mondo del lavoro parte del plusvalore prodotto ma ne condiziona l’utilizzo, vincolandolo al consumo e continuando ad escludere il mondo del lavoro dalla decisione sul come investirlo e gestirlo. Rimane quindi l’egemonia del capitale che, adottando la golden rule, ottimizza la sua forza attutendo le rivendicazioni del mondo del lavoro ed avviando un clima di collaborazione tra le classi antagoniste.