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Chi genera la produttività?

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Nel momento in cui si riconosce la necessità di tornare a investire, è necessario farlo avendo presente che ricerca e sviluppo devono diventare i pilastri della politica economica, della quale una politica industriale finalizzata al potenziamento dei settori tecnologicamente avanzati – che nell’attività di ricerca hanno il loro fondamento – diventi parte integrante

di Renato Costanzo Gatti

Nell’economia moderna la produttività è figlia della scienza che ricerca, sperimenta, realizza, verifica, testa, migliora, modi e mezzi di fare che risparmiano inputs e migliorano il modo di produzione. Nell’economia moderna è la comunità che dispone di capitali pazienti, che li investe in ricerche di cui è dubbio il successo e che richiedono comunque molto tempo prima di renderle fruttifere; è sempre la comunità che prepara il capitale umano con un sistema scolastico efficace, con enti di ricerca finanziati dalla comunità stessa; è la comunità che dovrebbe pianificare a lungo termine l’equilibrio tra obiettivi da raggiungere e mezzi per raggiungerli, evitando il mismatch tra fabbisogni e risorse.

Nell’economia moderna quando una innovazione, dopo decenni di studio e sperimentazione, comincia ad essere praticamente immessa nel processo produttivo, è sempre la comunità che gestisce il trasferimento tecnologico nel processo noto come “dalla ricerca all’impresa”. Tutta questo meccanismo di funzionamento della produttività è descritto nei testi di Mariana Mazzucato che nel suo “Stato innovatore” evidenzia come l’impresa privata sia la beneficiaria di uno sforzo comunitario (sia negli USA che in Cina) che mette a nudo l’ipocrisia dell’esaltazione degli “animal spirits” del capitalismo.

Rimarco che in Italia la ricerca “rimane ancora distante dalle performance di altri Paesi, facendo registrare una intensità delle spese in R&S (ricerca e sviluppo) rispetto al Pil (nel 2018 pari all’1,4 per cento) decisamente più bassa della media OCSE (2,4 per cento), tanto nel settore pubblico quanto nel privato (0,9 per cento contro una media OCSE dell’1,7 per cento). In questa prospettiva, la ripresa e il sostegno agli investimenti pubblici e privati in R&S rappresenta una condizione essenziale per recuperare il divario nei livelli di produttività dei fattori produttivi (capitale e lavoro) “

Rimarco, inoltre che i fondi per investire in ricerca provengono da una fiscalità che per la più gran parte è finanziata da lavoratori e pensionati tassati con il criterio costituzionale della progressività, mentre il trasferimento tecnologico, vista l’incapacità del nostro capitalismo di uscire dal “mercantilismo povero”, avviene promettendo incentivi e sussidi fiscali a chi invece dovrebbe essere il più sollecito ad introdurre innovazioni nei processi produttivi.

In una recente intervista, il Nobel per la fisica Giorgio Parisi ha sostenuto come il positivo apporto di finanziamenti provenienti dall’Europa attraverso il programma di rilancio post-Covid “Next Generation EU” debba essere certamente salutato con soddisfazione, ma debba soprattutto risuonare come stimolo affinché l’Italia torni realmente a destinare risorse più consistenti e stabili all’attività di ricerca, a cominciare da quella di base. Il richiamo di Parisi coglie effettivamente un punto nodale. La storia della “fuga dalla ricerca” dell’Italia è infatti una vicenda che si contraddistingue anche per l’ampia variabilità delle cifre destinate alla spesa in ricerca e per la residualità con cui spesso queste sono state contestualizzate nelle politiche di bilancio. Ciò significa che l’investimento in ricerca ha perso da tempo anche il suo valore strategico e che, nel momento in cui si riconosce la necessità di tornare a investire, è necessario farlo avendo presente che esso deve diventare un pilastro della politica economica, della quale una politica industriale finalizzata al potenziamento dei settori tecnologicamente avanzati – che nell’attività di ricerca hanno il loro fondamento – diventi parte integrante. Una prospettiva, questa, che troverebbe riscontro anche nell’ambito di un rinnovato contesto europeo nel quale si sta valutando la possibilità di valorizzare il ruolo di quegli investimenti pubblici giudicati più rilevanti per il loro impatto strutturale sullo sviluppo economico, con crescente considerazione per gli interventi orientati all’innovazione dei sistemi produttivi.” (Daniela Palma in “Ricerca”)

Spero di aver fornito abbastanza elementi per dare la risposta alla domanda su chi genera la produttività.