AGI – “Mi considero una donna normale e capita spesso che la gente mi giudichi senza conoscermi”. Così Emma Coronel Aispuro aveva descritto se stessa in una puntata di “Cartel Crew”, il reality show americano dedicato ai narcotrafficanti più celebri. E celebre come solo Pablo Escobar, ma ancora più potente, era il marito Joaquin Guzman Loera, “El Chapo”, che, quando era alla guida del temutissimo cartello di Sinaloa, fu il re dei narcos messicani.
La corte federale di Washington l’ha condannata a tre anni, uno in meno della richiesta dell’accusa, per la sua partecipazione agli affari del marito. Dopo essersi professata innocente, la trentaduenne, che era stata arrestata a febbraio 2021 all’aeroporto di Dulles, Virginia, ha poi scelto di collaborare e ammettere il suo coinvolgimento negli affari di ‘El Chapo’, una capillare rete di trafficanti che esportava eroina, cocaina, marijuana e metanfetamina negli Stati Uniti.
Ad assisterla sono stati Jeffrey Lichtman e Mariel Colon Mirò, gli stessi avvocati che difesero “El Chapo” nello storico processo a New York che si concluse con la condanna all’ergastolo di Guzman, estradato negli Stati Uniti nel gennaio 2017. Un processo dove Coronel quasi rubò la scena al marito, sorridendogli e guardandolo con devozione dai banchi dell’aula, dove sedeva ogni giorno.
Trentadue anni, doppia nazionalità messicana e statunitense, ex reginetta di bellezza, tacchi vertiginosi e abiti attillati a esaltarne le curve, Emma Coronel sposò “El Chapo”, di 32 anni più anziano, nel 2007 e gli diede due gemelle nel 2011. Figlia di un fedelissimo di Guzman, l’ex modella era ben inserita negli affari del consorte. Secondo l’Fbi, che ne aveva chiesto l’arresto, Emma Coronel conosceva i dettagli logistici e finanziari degli affari di “El Chapo” e fu questo che la rese in grado di mettersi in proprio quando, nel 2019, Guzman fu rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Florence, in Colorado.
Il traffico di stupefacenti non è l’unica accusa della quale ha dovuto rispondere. I federali l’hanno ritenuta infatti la mente della spettacolare fuga del marito dal carcere messicano di El Altiplano, avvenuta nel luglio 2015 attraverso un tunnel di un chilometro e mezzo scavato fino alla doccia della sua cella. Secondo i pentiti del cartello, era stata la donna a tenere i contatti tra Guzman e i suoi luogotenenti dal 2012 al 2014, gli anni della latitanza di “El Chapo”, braccato per tutto il Messico dalle autorità. Anche dopo l’arresto, Coronel aveva continuato ad approfittare delle visite al marito in carcere per trasmettere i suoi messaggi al cartello. E, quando nel 2016 “El Chapo” fu catturato di nuovo, Coronel avrebbe cercato di architettare una nuova evasione che lo sottraesse alla giustizia statunitense.
Pur citata al processo come collaboratrice di Guzman, Emma Coronel non aveva mantenuto affatto un basso profilo, arrivando a lanciare una linea di abbigliamento denominata con le iniziali del marito, ‘Jgl’. Nuove controversie erano sorte due anni fa quando, sul suo profilo Instagram, l’ex modella aveva addirittura denunciato minacce di morte in seguito alla cattura e alla liberazione, finita in un bagno di sangue, del figlio di “El Chapo”, Ovido Guzman Lopez, “El Raton”, oggi latitante e ritenuto il probabile erede del padre al vertice del cartello.
Dipingersi come vittima della rabbia popolare contro i narcos, che tengono il Messico in uno stato di guerra, era stato troppo anche in una nazione dove i trafficanti sono eroi per tanti diseredati che senza i loro affari non avrebbero di che vivere. “Non ho nulla di cui vergognarmi”, aveva detto Coronel durante un’udienza del processo di New York, “non sono perfetta ma mi considero una brava persona che non ha mai fatto intenzionalmente del male a nessuno”. Una donna normale.
Source: agi