AGI – Urne aperte in Catalogna per eleggere i 135 deputati del Parlamento della comunità autonoma, nel contesto sfavorevole della pandemia che fa temere un alto astensionismo.
Numeri alla mano ci sono tre forze politiche in una situazione di parità, oltre a circa il 37% di elettori indecisi, ago della bilancia di questa elezione. In tutto circa 5,6 milioni di aventi diritto sono chiamati a scegliere i propri rappresentanti nelle quattro circoscrizioni elettorali di Barcellona, Girona, Tarragona e Lerida.
Gli ultimi sondaggi evidenziano una situazione politicamente frammentata, con una posizione di leggero vantaggio per il candidato socialista, l’ex ministro della Sanità, Salvador Illa, al 22%, sul quale punta il premier spagnolo, Pedro Sanchez, per recuperare terreno.
Per Illa sarà però difficile costruire una maggioranza, anche con i voti degli alleati di Podemos. Restano infatti forti, seppur in lieve calo, i partiti indipendisti dell’alleanza ora al potere: Junts per Catalunya, la formazione di Carles Puigdemont, al 20%, ed Esquerra Republicana (sinistra repubblicana, Erc) al 21%.
Dai risultati elettorali dipenderà il rapporto tra lo Stato centrale e la comunità autonoma: Junts per Catalunya ipotizza la dichiarazione unilaterale di indipendenza mentre Esquerra Republicana preferisce la via del dialogo.
Ad ogni modo sarà un voto fortemente segnato dalla pandemia e dalle tensioni politiche accumulate tra il 2017, quando fallì il tentativo di secessione, e l’autunno 2019, stagione di violente proteste per la condanna dei leader indipendentisti. Le ultime settimane non sono state esenti da tensioni e malumori.
In primis la candidatura di Illa ha infastidito molti catalani, così come la sentenza del tribunale amministrativo, che ha annullato la decisione della Generalitat di far slittare le elezioni al 30 maggio, confermando invece la data del 14 febbraio.
Per timore dei contagi, la richiesta di voto per posta è aumentata del 300%, con oltre 270 mila cittadini che si sono fatti avanti, mentre il 25% degli scrutatori si è tirato indietro. Saranno piuttosto complesse le operazioni della giornata elettorale, con gli anziani attesi per primi alle urne mentre positivi e contatti stretti potranno esprimere la loro preferenza tra le 19.00 e le 20.00.
Concessioni sul piano fiscale, spostamento del Senato a Barcellona, sono al centro del programma di governo dei socialisti di Illa, che sono d’accordo sulla liberazione dei secessionisti detenuti optando per indulti individuali piuttosto che su un’amnistia generale, come già deciso dalla magistratura, che ritiene un’amnistia una mossa puramente politica.
Sul versante delle forze politiche indipendentiste ci sono grande fermento e divergenze sulla linea da attuare. I politici finiti in carcere per il referendum del 2017 sono tornati a svolgere un ruolo di rilievo: ad esempio l’ex presidente, Carles Puigdemont, in esilio a Bruxelles, si è candidato come capolista, ma per far arrivare consensi alla numero due, Laura Borras.
Tuttavia il leader esiliato non potrà votare perché il suo documento d’identità è scaduto e non può essere rinnovato in ambasciata senza correre il rischio di un arresto. Borras, però, è messa in difficoltà da un’accusa di corruzione, quindi se Junts per Catalunya dovesse vincere e lei risultasse colpevole, verrà destituita dalla carica, come accaduto del resto a Quim Torra, l’ex presidente accusato di disobbedienza per aver esposto durante le ultime elezioni nazionali uno striscione a favore dei politici arrestati.
Subbuglio anche nei ranghi di Candidatura d’Unita Popular (Cup), indipendentisti anticapitalisti che hanno appoggiato l’attuale coalizione, la cui leader Dolores Sabater, è accusata di analoghi illeciti. I secessionisti hanno poi posizioni diverse in merito alla strategia da seguire. Se Junts X Cat, Esquerra Republicana e Cup concordano sulla disobbedienza come strumento di pressione su Madrid, la formazione di Puigdemont-Borras intende attivare nuovamente la dichiarazione unilaterale di indipendenza se la coalizione con le altre forze dovesse raggiungere il 50% delle preferenze.
L’Erc di Pere Aragones è invece favorevole a una linea più cauta, riprendendo magari la mozione già presentata a Madrid per riattivare il tavolo di dialogo sull’indipendentismo della Catalogna, puntando ad ogni modo all’amnistia o l’indulto per i prigionieri.
È contrario all’indipendentismo, il ramo catalano di Podemos, En Comù Podem (Ecp), di Jessica Albiach, propenso ad assecondare le richieste di Erc e Junts X Cat, prendendo parte a una coalizione che potrebbe ottenere più del 50% dei voti e dei seggi nel nuovo Parlamento, aprendo così la Catalogna ad una prospettiva nuova.
Ecp difende il diritto al’autodeterminazione ma dentro lo Stato, intenzionato a farsi promotore di una riforma della Costituzione che riconosca nuove competenze alla Catalogna.
Sul versante del centro-destra, il Partito popolare catalano (PP), rappresentato da Alejandro Fernandez, e Ciudadanos, con Carlos Carrizosa, appaiono molto indietro, raccogliendo solo il 14% delle intenzioni di voto.
Elemento di novità sulla scena politica catalana è l’estrema destra di Vox, che potrebbe entrare in Parlamento per la prima volta, ottenendo due o tre seggi.
“In queste elezioni, la tensione generale dà risalto alla tensione interna del movimento indipendentista”, indica il politologo Oriol Bartomeus, dell’Università Autonoma di Barcellona.
Tutto questo a fronte di un elettorato spaccato: secondo un sondaggio dello scorso dicembre, il 49,9% dei catalani è contrario alla secessione e il 45,1% è favorevole.
Vedi: Catalogna al voto, Sanchez sfida gli indipendentisti divisi
Fonte: estero agi