L’emissione dei BTP a 50 anni indica una strada buona per il capitale finanziario che cerca soprattutto una rendita perpetua, mentre il Tesoro vuole sottrarsi al ritmo incalzante di rinnovi mastodontici. Ma nell’interesse delle generazioni future e per lo sviluppo dell’economia reale serve l’istituzione di un Fondo patrimoniale derivante dagli asset dello Stato
di Antonino Gulisano
Mercoledì scorso sono stati collocati titoli per 5 miliardi di euro, a fronte di offerte per 64,7 miliardi presentate da oltre 400 operatori, aggiudicandone addirittura l’88% a quelli esteri.
Lo straordinario successo che ha premiato la emissione da parte del Tesoro del nuovo benchmark “BTP a 50 anni” è allo stesso tempo il segnale della grande preoccupazione degli investitori circa le prospettive dell’economia reale e per le quotazioni ai massimi raggiunte in questi mesi dagli asset quotati.
Va fatta una riflessione più profonda sulla gestione delle crisi, quale che ne sia la loro origine, perché ormai le loro ricadute negative si stanno sommando le une alle altre. In termini di stabilizzazione, infatti, 5 miliardi di titoli a 50 anni sono appena una goccia nel mare del debito pubblico italiano, passato dai 2.410 miliardi di fine 2019 ai 2.569 miliardi di fine 2020, con l’incremento di 159 miliardi derivante dal fabbisogno di finanziamento degli interventi straordinari volti a fronteggiare le conseguenze della epidemia.
Per l’Italia, si sta aggiungendo un nuovo nodo al vecchio, rappresentato dalla crescita del debito pubblico che derivava dalla combinazione tra il peso degli interessi elevati e la politica di avanzo primario strutturale. Se quest’ultimo saldo non è mai stato al livello di compensare interamente il peso degli interessi, per l’altro ha avuto un effetto enormemente recessivo sull’economia. L’aumento del rapporto debito/pil derivava dalla combinazione degli alti tassi di interesse con la bassa crescita, sia reale che nominale. La politica di contenimento salariale, adottata per rendere competitive le esportazioni e contrarre l’import, aveva ridotto anche il tasso di inflazione che in precedenza influiva favorevolmente sull’andamento del rapporto debito/pil.
In pratica, fino alla repressione finanziaria che è stata decisa dalla Bce azzerando i tassi di riferimento, penalizzando le detenzioni bancarie ulteriori rispetto alla riserva obbligatoria ed infine decidendo di acquistare titoli di Stato con il quantitative easing, per importi che per l’Italia sono stati superiori alle emissioni nette del Tesoro, la tassazione ha ampiamente alimentato la rendita finanziaria sui debiti pubblici. Con la ripresa del quantitative easing, a novembre del 2019 e con l’avvio del PEPP nel marzo del 2020, si sta fronteggiando la nuova emergenza sanitaria immettendo altra liquidità. Ed il fatto che il 53,3% dei BTP a 50 anni siano stati sottoscritti da operatori europei è significativo della mancanza di alternative di investimento nell’Eurozona.
La politica monetaria espansiva della Bce (Banca centrale europea) contribuisce alla diminuzione del costo delle emissioni del debito pubblico italiano: nel 2020 si è attestato allo 0,59%, una percentuale pressoché dimezzata rispetto all’1,07% del 2018. Pur a fronte di aumenti record del debito, i tassi di interessi calano e rendono irrilevanti i parametri di valutazione consueti negli anni scorsi, che commisuravano il premio al rischio derivante dal rating assegnato al Paese emittente ed il rapporto debito/pil.
Per un verso, l’incertezza regna sovrana. È stata parimenti sospesa ogni ulteriore determinazione prudenziale sulla stabilità del sistema bancario, considerando che anche i più catastrofici scenari degli stress-test sono stati purtroppo ampiamente superati in peggio dalla realtà. E tace pure il dibattito sulle modifiche al Fiscal Compact, le cui prescrizioni sono solo temporaneamente sospese in via generale per via delle condizioni macroeconomiche avverse. Neppure si discute della sorte dei titoli pubblici detenuti dalle banche centrali, se saranno oggetto di cessione non appena la situazione economica si sarà stabilizzata, ovvero se saranno convertiti in titoli a lunghissimo termine.
Sul versante fiscale, invece, c’è fermento. Si è aperto il dibattito sulla tassazione delle imprese, avviato dalla proposta americana di stabilire una corporate minimum tax a livello internazionale per evitare che gli Stati si facciano una deleteria concorrenza al ribasso, erodendosi a vicenda la base imponibile anche per via del trasferimento delle sedi rilevanti ai fini fiscali nei Paesi a tassazione ridotta. I debiti pubblici eccessivi condizionano da sempre gli Stati.
Da questa situazione come se ne esce? In vari modi: o annichilendoli con l’inflazione o con una ristrutturazione concordata, in sede Europea con gli Eurobond, o con la cancellazione di parte dei debiti pubblici del quantitative easing. Per l’Italia mediante un prelievo patrimoniale o con la creazione di un Fondo Patrimoniale. In Italia, la Costituzione del ‘48 ne aveva già precostituito la possibilità con l’articolo 23, secondo cui “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. D’altra parte, lo Statuto Albertino aveva già previsto la rinuncia alla regia prerogativa del ripudio, stabilendo che “Il debito pubblico è garantito”.
In fondo, visto che il capitale finanziario cerca soprattutto una rendita perpetua e che il Tesoro vuole sottrarsi al ritmo incalzante di rinnovi mastodontici, la emissione dei BTP a 50 anni indica probabilmente questa strada buona per tutti.
In conclusione questa via della emissione di BTP perpetui è buona per gli speculatori della rendita finanziaria, ma non può essere sostenuta dalla Next Generetion, né dallo sviluppo della economia reale.
Quindi ripropongo l’ipotesi della istituzione del Fondo patrimoniale.
Se ipotizziamo la disciplina del Fondo patrimoniale come quelle per le famiglie, lo trasferiamo come istituto giuridico allo Stato. L’ipotesi è prevedere di destinare tutto il Patrimonio pubblico italiano e gli asset strategici in questo Fondo patrimoniale indisponibile per il mercato, ma a garanzia per le future generazioni e incrementarlo da parte dei privati con le emissioni di Certificati di Credito del Tesoro restituibili in 25/30. L’obiettivo è:
A) incrementare liquidità per investimenti e far crescere il PIL;
B) parte destinarlo all’abbassamento del rapporto debito pubblico/PIL tra il 60/80%.
In tal modo, dunque, si ha una vera e propria “segregazione patrimoniale” e i beni facenti parte del fondo saranno esclusi dalla generale garanzia patrimoniale, di cui all’ art. 2740 c.c.
Nell’atto di costituzione del Fondo patrimoniale i beni che lo compongono devono essere definiti come beni comuni. Con la costituzione del fondo patrimoniale i frutti dei beni in esso ricompresi – ad esempio i canoni di locazione percepiti dall’affitto degli immobili, oppure gli utili derivanti dalla partecipazione in società imprenditoriali – devono essere utilizzati esclusivamente per i fini di abbattimento del debito pubblico e per ulteriori investimenti infrastrutturali.