L’allora procuratore di Verona, Guido Papalia, ripercorre le indagini: «Arrivammo al covo grazie all’uomo che guidò il furgone del sequestro. Sento ancora Dozier»
Fonte corriere del Veneto
di Roberta Polese
«Nei giorni del sequestro temevamo che dietro alle Brigate Rosse si nascondessero collegamenti con la Raf tedesca, temevamo insomma che ci fosse un’alleanza internazionale contro gli Usa e le forze Nato, fortunatamente non era così». Guido Papalia aveva 43 anni 17 dicembre 1981, quando un commando delle Brigate Rosse portò via dalla sua casa in Lungadige Catena, a Verona, l’allora sottocapo di stato maggiore logistico delle Forze terrestri Nato dell’Europa meridionale. James Lee Dozier. Verrà liberato 40 giorni dopo, il 28 gennaio del 1982, nel covo di brigatisti in via Pindemonte, quella che oggi è una tranquilla e anonima via del quartiere Guizza di Padova. Guido Papalia, procuratore di Verona che condusse le indagini fino alla liberazione del generale americano, è in pensione dal 2013.
Dottor Papalia come ricorda quei giorni?
«Io e la polizia giudiziaria lavoravamo 24 ore su 24, senza tregua. Avevo esperienza nei sequestri di persona perché in precedenza avevo lavorato a Reggio Calabria, so bene che per chi è detenuto e per la famiglia che aspetta notizie, questo è un reato davvero straziante, dovevamo fare presto».
Ci furono dei tentativi di depistaggio che vi fecero perdere tempo?
«Ce ne furono tanti, ricordo che perdemmo giorni dietro a una segnalazione che ci spedì a fare ricerche in Alto Adige, partirono prima i carabinieri che ricevettero quella che doveva essere una soffiata, ci rendemmo conto presto che era una bufala, ma i giorni erano passati».
E voi investigatori metteste in atto tentativi di depistaggio?
«Sì, eravamo nei giorni precedenti alla scoperta del covo, erano momenti di grande tensione non doveva trapelare nessuna notizia, dovevo essere in questura per coordinare le ricerche ma non volevo che si spargessero voci, siccome in concomitanza con il sequestro avevo fatto una maxi retata di 50 persone per un traffico internazionale di droga, avevo fatto credere a tutti che la mia presenza in questura fosse dovuta agli interrogatori per la droga, e invece eravamo sulle tracce di Dozier».
Trovaste Dozier grazie alle confessioni di Ruggero Volinia, l’uomo che guidò il furgone da Verona a Padova.
«Lo ha interrogato la polizia giudiziaria, ho deciso di non intervenire in quella fase perché temevo che la mia presenza a quell’interrogatorio si sarebbe diffusa alla stampa e che sarebbe quindi arrivata alle Br, ma capii che quella era la strada giusta».
A distanza di tanti anni sente ancora Dozier?
«Sì, ci siamo sentiti ad aprile per il suo novantesimo compleanno, vive in California con la sua seconda moglie».
Lei che visse gli anni di piombo, quale diversa influenza ha avuto il terrorismo rosso rispetto al terrorismo nero?
«Le Br cercavano un bersaglio singolo, ed erano contro lo Stato in tutto e per tutto, il terrorismo nero faceva le stragi, colpivano la massa e agivano con pezzi dello Stato, per questo ci è voluto più tempo a sradicarlo».
Come vive oggi a Verona?
«È una splendida città con tante persone impegnate nel volontariato, però c’è anche tanto razzismo che si manifesta con gli ultras. L’amministrazione cittadina dovrebbe intervenire in modo molto più duro contro questi episodi».