AGI – L’accordo raggiunto al vertice di luglio dai 27 leader europei dopo un lungo e faticoso negoziato ha messo nero su bianco la risposta europea alla più grave recessione della sua storia legata alla pandemia. Ma lo stesso documento rimanda proprio a queste settimane i dettagli su come l’Europa intenda finanziare l’intervento da 750 miliardi noto come Recovery Fund, o Next generation Ue, che sarà complementare e indipendente dal bilancio pluriennale europeo. Mentre quest’ultimo viene finanziato in gran parte dai singoli Paesi Ue con delle vere e proprie contribuzioni finanziarie commisurate al Reddito nazionale lordo di ogni Stato membro, il Recovery Fund nascerà grazie a un debito comune europeo e dunque al reperimento delle somme sul mercato dei capitali tramite l’emissione di titoli Ue. Per gli esperti di finanza non vi è alcuna novità, se non per le quantità molto più alte del nuovo intervento.
La Commissione europea ha infatti iniziato a emettere bond comuni nell’ormai lontano 2010, quando c’erano da finanziare aiuti sotto forma di prestiti a tasso agevolato a sostegno dei Paesi membri più in difficoltà nella crisi del debito (Irlanda e Portogallo in primis). Ma a differenza che in passato, la gran parte delle somme (390 miliardi) verranno destinate a capitoli di spesa e ‘solo’ 360 miliardi dei soldi presi in prestito dall’Ue verranno a loro volta prestati agli Stati membri.
Un cambio di paradigma non da poco rispetto al passato, quando le istituzioni europee ammettevano l’emissione di bond solo per prestare le somme ottenute nel mercato dei capitali ai Paesi che, rivolgendosi da soli agli investitori, avrebbero dovuto pagare interessi molto più alti sui rispettivi debiti. L’Ue vanta infatti un rating AAA assegnatole dalle agenzie Fitch, Moody’s, DBRS Morningstar e Scope. I titoli finora sono stati autorizzati da decisioni specifiche del Consiglio, che determina l’ammontare dell’intervento, delle modalità di rimborso e la durata massima del pacchetto di prestiti. La maturità dei titoli varia da 3 a 30 anni e i bond sono denominati esclusivamente in euro.
Se i Trattati consentono alla Commissione europea di fare operazioni finanziarie di questo tipo, ne limitano anche il campo d’attuazione. “I poteri concessi alla Commissione”, si legge anche nelle conclusioni dell’ultimo vertice Ue, “per prendere in prestito” le somme del Recovery Fund “sono chiaramente limitati in termini di dimensioni, durata e portata”. Da qui la previsione di una “riduzione costante e prevedibile delle passività fino al 31 dicembre 2058”, la data entro la quale i titoli emessi nei prossimi mesi dovranno essere rimborsati interamente.
Prima che la Commissione possa rivolgersi ai mercati, sarà necessario l’ok di tutti i Paesi membri – e, dove previsto, dei rispettivi Parlamenti nazionali – all’aumento di 0,6 punti percentuali al tetto delle risorse proprie. Alcuni già le chiamano ‘eurotasse’, e si tratta di imposte riscosse a livello nazionale, ma il cui gettito viene trasferito alle casse comunitarie di Bruxelles. L’aumento delle risorse proprie esistenti e l’introduzione di nuove eurotasse sulla plastica non riciclata, sulle imprese digitali, sulle emissioni del trasporto aereo e marittimo e con un meccanismo di adeguamento delle emissioni carboniche alla frontiera servirà, secondo il nuovo piano Ue di ripresa, a garantire il rientro delle somme entro il 2058. Ma come per ogni materia che riguarda il bilancio, occorrerà l’unanimità dei Paesi membri.
Tornando alla collocazione dei titoli, “la nuova attività di indebitamento si fermerà al più tardi alla fine del 2026”, precisano le conclusioni sottoscritte dai 27 leader martedì mattina. Ma non si precisa la data di collocamento dei titoli sul mercato finanziario, in attesa appunto della decisione dei Paesi sulle risorse proprie. In tanti si interrogano infine sulla sostenibilità dell’operazione e dunque sui rischi finanziari per l’Europa. Finora le emissioni di bond comuni sono state estremamente limitate tanto negli importi (i massimi storici si sono verificati nel 2011 con l’emissione di meno di 30 miliardi di titoli) quanto nelle finalità dei programmi finanziati. Stavolta si tratta di un intervento ben più consistente e con una destinazione specifica delle somme ricavate ancora sconosciuta, seppure ben limitata dalle condizionalità sulle riforme.
Un fedele alleato dell’Ue per garantire la stabilità finanziaria sarà la Banca centrale europea. Ancor prima che le istituzioni Ue pensassero al Recovery Fund, l’Eurotower aveva già attivato il ‘bazooka’ da 1.350 miliardi di euro a sostegno dei bond dei Paesi Ue non collocati sul mercato primario. L’intervento durerà almeno fino al 30 giugno 2021, offrendo una garanzia non da poco in caso di difficoltà a collocare i titoli, nonostante il rating Ue che – per il momento – mette Bruxelles al riparo dai rischi speculativi.
Vedi: Bond, rating, 'eurotasse': ecco come verrà finanziato il "Recovery fund"
Fonte: estero agi