di Rosanna La Malfa
Vittorio Michele Craxi detto Bobo, secondogenito di Bettino Craxi, è un politico italiano, già sottosegretario di Stato agli affari esteri con delega ai rapporti con l’ONU. Ricorda il padre con il nostro Quotidiano e ci parla del futuro.
Con i suoi occhi, gli occhi di un figlio, ci riveli un po’ dell’uomo Bettino Craxi.
Potremmo dire che fu un uomo straordinario, un infaticabile lavoratore, un uomo molto curioso ed un uomo di carattere. Persona difficile certamente molto concentrata su se stesso, ma non un uomo egoista. A suo modo fu un padre presente nelle circostanze che contavano, ha vissuto una vita intensa ma certamente breve. Non l’ho mai sentito pronunciare una banalità. Era circondato da molto affetto e molta stima. Questo ne fortificó il carattere, e fece crescere le sue responsabilità. Da qui si evince che non tralasció gli affetti, ma per forza di cose si trovarono in un secondo piano di priorità.
Padre e figlio. Quanto è impegnativo chiamarsi Craxi?
Ci si convive se si relativizza la portata di essere parte di una famiglia che é stata in vista. La verità é che io ho sempre condotto una vita assolutamente normale e cosí i miei figli sapendo che c’era una bilancia fra oneri ed onori. L’impegno riguarda la Storia di cui siamo stati protagonisti seppur di riflesso; quella non possiamo cancellarla o nasconderla e quindi dobbiamo tutti cercare di esserne all’altezza.
Quanto la politica ha inciso nella vostra vita familiare?
Molto, se si pensa il Carattere totalizzante della politica nel secolo che sta alle nostre spalle, il ruolo dei partiti nella società quindi anche degli uomini politici che non erano figure ignorate o disprezzate come invece avviene adesso. Certo, più sale il livello della responsabilità pubblica e maggiore é l’intensità e l’influenza anche all’interno di una famiglia. Non dobbiamo dimenticare gli anni in cui ho vissuto la mia adolescenza e la mia maturità, gli anni del terrorismo, della tensione che sequestrava la città dove vivevo; la prima esposizione pubblica a questa realtà con cui si doveva fare i conti
Vuole raccontarci un aneddoto particolarmente speciale nei suoi ricordi?
Essendo estate voglio ricordare mio padre sulla spiaggia con il cappellaccio stile coloniale, una canotta ed una radio in mano perché aspettava l’ora del radio giornale che captavamo dalle coste tunisine. Questo é un ricordo della fine degli anni settanta; presto purtroppo quei bagni e quella spensieratezza finí. Di questo ho nostalgia.
Politica internazionale. Perché pensa che la Catalogna deve essere indipendente?
Io non Penso che sia utile aggiungere all’Europa un altro staterello. Credo tuttavia che la Catalogna per la sua peculiarità debba godere di uno speciale statuto di autonomia che ne esalti il carattere di nazione. Dovranno essere creativi per realizzare una forma costituzionale convincente che impedisca l’ulteriore aggravarsi della situazione di divisione sociale che si tocca con mano. Quindi non perdere l’Unità della Catalogna, non fratturare la Spagna ma definire, lo ripeto, un nuovo quadro istituzionale.
La Tunisia, la terra di tanti ricordi. Un suo sogno?
Indietro non si torna. La Tunisia ha fatto passi in avanti ma anche passi indietro. Mi convince l’idea dell’Unione Mediterranea allargata e quindi dobbiamo raggiungere nuovamente un nuovo equilibrio; nuova cooperazione, nuova integrazione. Il sogno magari é di tornarci a vivere con una nuova attività negli anni della mia pensione.
Mancanza di fiducia del Cittadino nei confronti della politica. Cosa è accaduto secondo lei?
É accaduta la crisi. Nessuno può sopportare e così a lungo una decrescita economica. Nessuno può avere un’idea oscura del proprio futuro e di quello dei propri figli. Nessuno sopporta chiacchiere da mattina a sera. L’idea dell’inutilità della politica sta prevalendo in tutto il Mondo per quello ci si mette nelle mani di imbonitori. É una fase che credo sia destinata a finire nel giro di un breve ciclo.
L’idea di un socialismo moderno e di ampio respiro. Ce ne parli.
Io credo che esista una forma avanzata di socialismo che possa compenetrare i valori della libertà individuale ed economica con la salvaguardia dei bisogni, dei diritti e dei doveri di un cittadino. É una aspirazione classica della socialdemocrazia: anche essa ha dovuto fare i conti con l’avanzata impetuosa del capitalismo senza regole. Esso andrà limitato e condizionato senza tuttavia arretrare nei processi di modernizzazione. Ma é solo il socialismo che può declinare questa vocazione delle nostre società.
Quali sono i valori che una società civile deve sostenere per contrastare il muro dell’intolleranza e degli aspri toni politici odierni?
Le crisi conducono ad inevitabili aspri conflitti: da qui la richiesta di maggiore ordine e autorità. Noi dobbiamo spezzare questa spirale perché essa é figlia della paura che viene creata ad arte per determinare un clima di intolleranza. Bisogna sforzarsi di spiegare, bisogna impegnarsi per governare i fenomeni e non farsi travolgere, bisogna insegnare alle nuove generazioni cosa sono stati i conflitti mondiali per tenersene lontano ed esaltare le Unità e non le divisioni.
In un clima di sfiducia e di nazionalismo quasi estremo, come sentirsi fieri di essere italiani?
La sfiducia é determinata dall’alto tasso di improvvisazione del nostro governo, dalla sua disomogeneità politica, dall’evidente impronta nazional-populista che può soddisfare i sentimenti di una stagione ma non indicare la strada dell’avvenire. D’altronde, siamo alla fine di un ciclo storico e la riemersione dei vecchi nazionalismi risponde alle crisi di identità della costruzione europea. Bisogna non restare in mezzo al guado né bisogna arretrare. É un grave segno di debolezza. Insistere. Cambiare l’Europa é possibile renderla meno ostile ai cittadini. Italiani lo eravamo prima e continueremo ad esserlo. Non capisco questo accaparramento di un’identità che é di tutti. I giallo Verdi parlano a nome di una parte degli italiani; non di tutti. Dobbiamo quindi continuare a far sentire la nostra voce; io almeno ho intenzione di continuare a farlo. Cambiare questi presunti cambiatori che più che altro mi sembrano improvvisatori che ci stanno portando fuori strada.