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Blocco di Kaliningrad: una mossa azzardata e pericolosa

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La crisi energetica e alimentare conseguente al braccio di ferro in atto esistente fra Unione Europea e Russia ha innescato il pericolo di un irrefrenabile collasso economico di un po’ tutti i paesi europei. Perché inasprire ancor più, solo per una questione di attraversamento merci, l’orso ex sovietico?

di Augusto Lucchese

Nell’arroventato quadro della crisi che particolarmente ha investito l’Europa a seguito del verificarsi e del protrarsi dello scontro armato fra  Russia e Ucraina, un nuovo punto di stridente frizione s’è palesato proprio negli ultimi giorni.

Si chiama KALININGRAD, una striscia di territorio situato fra Polonia, Lituania, e Bielorussia ove esiste una strategica base navale militare russa, un porto commerciale parecchio importante, il capolinea di una ferrovia che attraverso la Lituania e la Bielorussia lo collega direttamente con la Federazione Russa.  Kaliningrad è l’antica Konigsberg prussiana che fu di straordinaria rilevanza bellica sul piano delle grandi flotte militari dei tempi del Kaiser (1° guerra mondiale) e successivamente della Germania nazista di Hitler.  Annessa alla Unione Sovietica nel maggio 1945, il 4 luglio 1946 fu ribattezzata Kaliningrad in memoria di Michail Ivanovic Kalinin, primo Capo di Stato della Russia sovietica post zarista.

Dal 1952 la città è sede del comando della Flotta russa del Baltico. Grazie al clima favorevole Kaliningrad è uno dei due porti russi sul Mar Baltico  non soggetti a periodica glaciazione e ciò lo rende ininterrottamente fruibile.

Adesso la subordinata Lituania, facente parte della NATO, ha alzato l’ingegno e ha fatto sapere alla Federazione Russa che in base alle discutibili “sanzioni” decise dalla Unione Europea impedirà il transito di merci sottoposte a blocco.

Una autentica sfida, certamente avallata dalla NATO, lanciata dal debole governo lituano al feroce  apparato politico militare russo, peraltro spalleggiato dalla Bielorussia dichiaratamente filorussa, in atto drasticamente governata del ben noto Lukashenko amico personale e sostenitore di Putin.

Quest’ultimo ha già fatto sapere che è pronto ad invadere la Lituania.

Sarebbe peggio che l’Ucraina stante che stavolta la cosa riguarderebbe direttamente la NATO e quindi tutti i Paesi che ne fanno parte.

Perché inasprire ancor più, solo per una questione di attraversamento merci, l’orso ex sovietico?  È da matti mettere altra legna al fuoco.

Il tutto inquadrato in uno scenario già di estrema instabilità e pericolosità, nella misura in cui la classe politica delle Nazioni facenti parte della Comunità Europea sta dimostrando una palese incapacità decisionale e operativa rispetto alla indifferibile necessità di frenare gli effetti devastanti (militari ed economici) della crisi ucraina. Non sembra azzardato ritenere che nell’ambito della Unione europea pesi di più l’influenza della NATO (quindi USA) che quella degli organi istituzionali della stessa e dei singoli governi che la compongono.

Si corre il rischio che si avverino, malauguratamente, le fosche previsioni giorni addietro avanzate dall’entourage governativo russo – putiniano, secondo cui la citata Comunità è destinata a  fare una brutta fine, magari solo per mancanza di obbiettivi solidali e di una comune forza di reazione.

Ciò a prescindere dalle ricorrenti e più o meno larvate “minacce” di un sempre possibile impiego strategico e tattico di missili supersonici a testata nucleare.

La crisi energetica e alimentare conseguente al braccio di ferro in atto esistente fra Unione Europea e Russia, ha innescato il pericolo di un irrefrenabile collasso economico di un po’ tutte le Nazioni europee, peraltro aggravato da fattori imponderabili quali la siccità, le pandemie, l’inflazione, i rincari nella catena dei costi di esercizio, la rarefazione di talune materie prime indispensabili per la normale attività di parecchi importanti cicli di lavorazione produttiva.

I russi sono gongolanti di gioia e alzano la voce ripetendo … “noi ve lo avevamo detto …”.

Sembra assurdo, ma stando così le cose il più efficace alleato della Russia di Putin è diventato proprio quell’Occidente (in gran misura le Nazioni europee aderenti alla “Unione” e alla NATO) che con l’accentuarsi della spericolata politica estera “pro Ucraina” corre il rischio di essere direttamente e solidalmente coinvolto in possibili rovinosi scontri armati in altre zone nevralgiche d’Europa, direttamente sotto controllo NATO,  scontri che potrebbero assumere le dimensioni di un tragico conflitto mondiale.

In tal maniera non si aiuta certo l’Ucraina a sopravvivere alle distruzioni a tappeto arrecate  dalla pioggia di missili russi e tanto meno la si può difendere dagli attacchi terrestri fornendo le “promesse” armi, poche, convenzionali e non adeguate, peraltro fatte pervenire quasi clandestinamente. Giova ben poco, parallelamente, il simbolico appoggio diplomatico o il sostegno “morale”, come lo si vuol chiamare, considerato che una ipotetica “vittoria sul campo” appare più come un miraggio che come una fondata possibilità.

Tanto meno la si può soccorrere portando avanti sempre più inefficaci “pacchetti” di sanzioni che, pur non lasciando il tempo che trovano, non inducono certo i despoti russi a più miti consigli e a presentarsi pariteticamente ad un eventuale convegno ove decidere, senza prepotenze o vessazioni, sul come eliminare le cause che impediscono di ritrovare la perduta pace.

Con questo tipo di politica è ben difficile risalire la china della escalation militare in atto, è improbabile giungere ad un salutare “cessate il fuoco”, è quanto meno inimmaginabile riuscire  a ridisegnare di comune accordo i confini ucraini alla luce di un imposto atto di forza che affatto somiglia all’invocato principio della “autodeterminazione dei popoli”.

Osservando la situazione da una angolazione diametralmente opposta, sembra più che ragionevole convenire che il tornacontistico proponimento (più o meno recondito) del cosiddetto “Mondo occidentale” di pervenire ad una futura egemonica prevalenza sul resto del Pianeta – non tanto altruisticamente capitanata da USA e Commonwealth britannico – non giustifica la rotta di collisione intrapresa dalla flottiglia dei paesi occidentali (da lontano guidata dall’imperterrito Zio Sam) rispetto alla potente squadra navale dei colossi mondiali (CINA, INDIA, RUSSIA e relativi satelliti fra cui parecchi Paesi detti “emergenti”, come Brasile e Sud Africa), specie perché senza il raggiungimento di una concreta intesa con gli stessi è ben difficile assicurare alla umanità un futuro di pace, di sviluppo sostenibile, di benessere sociale.

Vale la pena ricordare che non c’è più sordo di chi non vuol sentire e al di là della Manica e dell’Atlantico si seguita ad ostentare una superiorità fuori tempo e fuori luogo.

Sembra che ci si sia dimenticato di non essere più ai primordi del secolo scorso quando ebbe a  scatenarsi la spaventosa 1° Guerra Mondiale, cui seguì il disastro della 2° Guerra Mondiale in gran misura innescato da nefasti accordi quali l’ “Asse Roma Berlino” e il “Patto Tripartito”, propagandisticamente presentati dagli interessati come una quasi necessaria risposta alla dichiarata “intransigenza egocentrica” anglo francese americana.

La pace si può raggiunge solo attraverso equanimi e paritetiche intese, smussando gli angoli, evitando attriti ideologici, razziali  o  religiosi, … non mai con la violenza della guerra.

Occorrerebbe che tale concetto entrasse nella testa di tutti i guerrafondai di questo pazzo Mondo e di chi, subordinatamente, li affianca e irresponsabilmente sostiene (sostanzialmente a parole) il loro modo di condurre i già fragili rapporti fra Nazioni appartenenti a gruppi di fatto contrapposti.

La contropartita dell’attuale fosca situazione sta nella negativa prospettiva che, magari non volutamente ma prepotentemente, s’affaccia all’orizzonte di molte Nazioni (fra cui, purtroppo, anche l’Italia) e cioè quella di mandare allo sbaraglio le economie dei singoli Stati, innescando i presupposti per un sempre crescente rapporto PIL/DEBITO PUBBLICO, rendendo parecchio difficile la sopravvivenza di molte imprese, debilitando ancor più la potenzialità dei redditi del ceto medio basso e quindi della maggioranza delle famiglie e degli indifesi cittadini cui non rimane che subire le malefatte di chi ha in mano le redini della società mondiale e del futuro del malconcio Pianeta.

E incontestabile che le sapute sanzioni poste in campo dalla Unione Europea contro la Russia (dietro cattivo esempio e incitamenti vari provenienti d’oltre oceano) hanno creato, come contraccolpo automatico e a fronte di ritorsioni di varia dimensione e natura, un autentico sconquasso nei sistemi produttivi ed economici delle singole Nazioni.

Non sembra frutto di fantasia o di pregiudizi rilevare che parecchi esponenti politici di casa nostra, pedissequamente, gestiscono male tale realtà.

S’è determinato un allarmante stato di fatto, peraltro foriero di ulteriori preoccupanti risvolti, che danneggia un po’ tutti,  ovviamente anche i “benestanti” volponi di più o meno alto livello annidati nei vari gangli legislativi, deliberativi ed esecutivi di comando, che con il loro talvolta spregiudicato e scostante modo di agire deteriorano ulteriormente le regole della convivenza politica, dimostrano diffusamente di governare in base a precostituiti interessi di parte o di più o meno misteriosi gruppi di potere, screditano le Istituzioni rappresentative della collettività sociale.

A parte le vacue ciance elettorali o le indegne diaspore interne a partiti e movimenti,  recidivamente verificatesi nell’ambito di gruppi e gruppetti di mediocri politicanti che agli interessi  della propria Nazione antepongono la loro ossequiosa subordinazione alle decisioni altrui.

Il modo e la maniera di affrontare i tragici avvenimenti bellici che non tanto improvvisamente hanno colpito la comunità mondiale e principalmente quella europea, ne sono la riprova.

A nulla vale soffiare sul fuoco, pur prendendo atto del fatto che qualche indefinibile settore dell’infido quadro politico, forse per finalità di bassa strumentalizzazione elettorale e in aperta contraddizione con qualificanti diversi comportamenti non tanto lontani nel tempo, ha pensato bene di cavalcare l’onda della dichiarata opposizione ad ogni forma “cobelligeranza”, vieppiù mediante la fornitura di armi.

È scandaloso, tuttavia, udire un Ministro degli Esteri che ammonisce la Nazione con lo spauracchio di possibili ulteriori conseguenze cui si andrebbe incontro ove non si accetti l’idea “che siamo già in guerra” e che sarebbe “pericoloso” venire meno al legame, ritenuto indissolubile, che lega l’Italia al cosiddetto “atlantismo” e che quasi impone una comune presa di posizione nella attuale crisi ucraina. Il grossolano risultato ottenuto da un cotanto improvvisato “personaggio”, piovuto dalle “stelle” di casa nostra,  è solo quello di acuire ancor più lo stato di ansietà e di preoccupazione della gente.

I trattati NATO (peraltro di natura essenzialmente “difensivi”) vanno rispettati nei limiti del giusto ma, in ogni caso, non possono obbligare, a priori, la partecipazione, diretta o indiretta, a delle guerre fomentate o assecondate da altri.  In passato, purtroppo, ciò è avvenuto e ancora oggi se ne sopporta il negativo risultato.

Ove si abbia la libertà e il coraggio di esercitarlo, esiste oltretutto un “diritto di veto”.

Tutto sommato sembra di essere immersi in una cretinesca forma di autolesionismo, quasi  proiettato a debilitare ancor più le già scarse energie globali del Pianeta. Energie che, razionalmente parlando, non dovrebbero essere indirizzate verso le guerre, verso le distruzioni, verso ulteriori disastri ecologici e ambientali, bensì verso l’ormai indifferibile terapia d’urto da adottare, senza differimenti o colpevoli tentennamenti, per tentare di salvare, sin quando si è a tempo, l’avvenire della Terra.

Miliardi di esseri umani viventi nei cinque Continenti, oltre alle generazioni che nasceranno, rischiano di non trovare più la insostituibile fonte del proprio sostegno nella natura quotidianamente bistrattata e malversata.

Guerre, distruzioni, inquinamento terracqueo, innalzamento della temperatura, desertificazione, deforestazione selvaggia, abuso delle risorse, consumismo sfrenato, eccessiva urbanizzazione nelle invivibili megalopoli, e chi più ne più ne metta,  sono altrettanti fattori negativi che hanno già superato ogni limite di guardia.