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Biden, la svolta americana nelle politiche energetiche

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di Civismundi

Il nuovo Presidente, Joe Biden, ha impresso fin dal primo giorno una svolta netta (anche) alla politica energetica degli Stai Uniti d’America, con il rientro negli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici, il divieto di nuovi permessi per l’estrazione di petrolio e gas nei terreni e nelle acque federali, cioè pubblici ed il blocco dell’oleodotto Keystone XL, quasi 2 mila chilometri di tubi che dovrebbero portare sabbie bituminose dall’Alberta, nello splendido scenario delle Montagne Rocciose canadesi, alle raffinerie del Golfo del Messico.

Un cambiamento di rotta che apre il cuore alla speranza di quanti si preoccupano per il futuro del pianeta e delle nuove generazioni. È auspicabile che l’esempio americano dia anche ai governanti italiani il coraggio di resistere alle pressioni degli interessi economici in campo e di percorrere con decisione la strada della transizione ecologica.

Attenzione, però, a non illudersi che con l’avvento di Biden il Green New Deal sia cosa fatta negli Stati Uniti. Obiettivo dichiarato del Presidente èl’azzeramento entro il 2050 delle emissioni nette di gas serra, la cosiddetta “neutralità carbonica”. Saranno la forza e le esigenze del mercato a determinare il successo o l’insuccesso del nuovo corso americano.

È bene che l’opinione pubblica europea, ed italiana in particolare, si renda conto dei reali termini dello scontro politico tra Trump e Biden, cosa c’è dietro la manfrina del “furto” elettorale, gli sciamani con le corna e gli assalti al Palazzo del potere, uno scontro che ogni paese dell’Occidente industrializzato riproduce interamente, seppure su scala più ridotta e che riguarda tutte le più importanti questioni aperte nella sfera globale, dalle migrazioni alla pandemia.

Per tenerci, qui, solo al campo dell’energia, la politica di Donald Trump ha fatto perno sul concetto di “predominio energetico” (energy dominance), fondato sui combustibili fossili. Trump ha spinto l’America, che è il secondo paese al mondo, dopo la Cina, per la produzione di CO2, fuori dagli accordi sul contenimento delle emissioni. Nei suoi istrioneschi comizi elettorali Trump ha sempre parlato del cambiamento climatico come di un imbroglio, “hoax”, un’invenzione dei cinesi per danneggiare l’industria americana.

In quei comizi Biden veniva accusato di volere “abolire tutta l’industria petrolifera americana”. Obiettivo prediletto degli strali satirici di Trump è stataAlexandria Ocasio-Cortez, la giovane deputata di origine ispanica proveniente dal Bronx, seguace di Bernie Sanders, oggi al fianco di Biden, strenuasostenitrice del Green New Deal.

Nei suoi quattro anni di governo Trump si è impegnato a demolire le restrizioni alle emissioni di Co2 imposte dall’amministrazione Obama, puntando alla piena indipendenza energetica degli USA attraverso nuove concessioni per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi (che Obama aveva bloccato) ed il rilancio delle centrali a carbone, ritenute elementi trainanti dello sviluppo economico e della creazione di nuovi posti di lavoro.

Una politica antistorica, di mera propaganda, che non poteva avere l’impatto sperato sul piano interno perché non sarebbe stato possibile rilanciare gli investimenti nel settore del carbone, in crisi non tanto per le restrizioni di Obama ma per via della “shale revolution”, cioè della diffusione di gas proveniente da un tipo di roccia denominato scisto bituminoso, che ha fatto crollare i prezzi del gas naturale, mettendo fuori mercato il carbone, inquinante e molto più costoso.

La vita degli impianti a carbone può continuare per qualche tempo, ma è destinata fatalmente a finire perché non regge il mercato, tanto che le più importanti imprese americane produttrici di energia stanno impostando i loro programmi d’investimento a medio e lungo termine sul gas naturale e sulle energie rinnovabili.

Tuttavia la politica energetica di Trump ha portato conseguenze assai gravi a livello globale, infatti il disimpegno USA dagli accordi sottoscritti a Parigi ha causato il fallimento di fatto della COP 21 poiché ha fornito un alibi formidabile agli altri paesi, a partire dalla Cina, per non tenere fede, a loro volta, agli impegni che si erano assunti. Così le centrali hanno continuato a bruciare carbone in tutto il mondo, arrecando un danno che rischia di rivelarsi irreversibile all’azione coordinata, tanto indispensabile quanto urgente, di contrasto ai cambiamenti climatici e transizione verso le energie pulite.

Joe Biden riprende ora le politiche dell’amministrazione Obama, di cui non a caso era stato Vicepredidente, e ridefinisce le priorità energetiche degli Stati Uniti, influendo così positivamente anche sulle scelte energetiche degli altri stati.

La nuova agenda energetica della Casa Bianca prevede una forte accelerazione sull’eolico offshore, sbloccando le autorizzazioni bloccate dall’amministrazione Trump e supportando le aziende del settore.

Biden non ha parlato fin qui di divieti al fracking (la tecnica di estrazione del petrolio conosciuta come “fratturazione idraulica”) però ha detto di voler far cessare la vendita di nuovi contratti per lo sviluppo di risorse oil & gas sulle terre e sulle acque federali. Gli esperti prevedono che il blocco delle nuove concessioni per la ricerca ed estrazione di idrocarburi può portare una riduzione del trenta per cento della produzione offshore di petrolio e gas negli USA entro il 2035.

È possibile prevedere che le autorizzazioni di condotte e i terminal legati al trasporto e all’esportazione di petrolio e gas, come dimostra il blocco dell’oleodotto Keystone XL, diverranno più lunghi e severi, soprattutto in relazione alle analisi sugli impatti ambientali e climatici.

Biden intende incentivare la vendita di auto elettriche, si prevedono quattro milioni di veicoli elettrici negli Stati Uniti entro il 2030.

Anche l’accordo sul nucleare con l’Iran, dopo il ritiro americano deciso daTrump, potrebbe essere ripreso aprendo nuovi negoziati, anche se difficilmente saranno abbandonate le sanzioni economiche imposte nel 2018.

Non sarà tutto facile per il nuovo Presidente, l’industria petrolifera teme che una transizione troppo rapida metta a rischio migliaia di posti di lavoro, sono circa 400mila gli occupati nel settore, e che possa venire compromessa la stabilità della rete elettrica. I produttori di carbone fanno notare che manca a tutt’oggi una tecnologia delle batterie che consenta lo stoccaggio dell’energia generata da fonti rinnovabile ovviando ai problemi di intermittenza che presentano l’eolico e il fotovoltaico.

Secondo l’agenzia governativa EIA, Energy Information Administration, nel 2021 negli Stati Uniti il carbone passerà dal 20 al 24 per cento della produzione energetica nazionale, facendo passare la domanda di carbone da parte del settore elettrico da 433 milioni di short ton nel 2020 a 522 milioni nel 2021, per poi scendere a 380 milioni nel 2035 e a 357 milioni nel 2050.  

Noi pensiamo che puntare sull’energia pulita è una scelta che, oltre ad essere necessaria per la salvaguardia degli equilibri ambientali, è in grado di assicurare quanto meno i livelli occupazionali attualmente presenti nella produzione di energia, E l’augurio è che l’amministrazione Biden non si faccia intimidire e riesca a minimizzare gli effetti collaterali della transizione.


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