AGI – “America is back”, ripeteva il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, il 15 giugno scorso accogliendo al Palazzo Justus Lipsius di Bruxelles, il presidente americano, Joe Biden. “Significa che abbiamo di nuovo un partner molto forte per promuovere l’approccio multilaterale, una grande differenza con l’amministrazione Trump”, spiegava poi ai giornalisti. “Finalmente abbiamo di nuovo un amico alla Casa Bianca”, faceva eco la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “L’Atlantico è tornato al centro della scena”, confermava il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli. Lo stesso Biden non era da meno: “L’Europa è il nostro partner naturale, perché siamo legati dagli stessi valori e istituzioni democratiche che sono sotto crescente attacco. Ho una visione molto diversa da quella del mio predecessore”. Due mesi dopo, il 15 agosto, con la caduta di Kabul, buona parte dei propositi è stata messa in discussione. Tre mesi dopo, il 16 settembre – con l’alleanza Usa-Gb-Australia anti-Cina – i buoni propositi sono andati in fumo.
“La situazione in Afghanistan ci invita a un’analisi e a compiere scelte in linea con le nostre visioni e i nostri interessi geostrategici. La crisi afghana ci impone un esercizio su vasta scala di autonomia strategica”, scriveva Michel sul suo blog il 2 settembre. “Siamo andati in Afghanistan con i nostri alleati statunitensi e lasciamo il paese insieme a loro. Ma la nuova situazione ha implicazioni molto diverse per gli Stati Uniti e per l’Europa. È per questo motivo che l’Europa deve compiere rapidamente scelte legate ai suoi interessi strategici”, metteva in chiaro.
“La necessità di ridurre le nostre dipendenze e rafforzare la nostra autonomia strategica è sempre più evidente. L’Ue e i suoi Stati membri devono avere un peso maggiore nel mondo, per difendere i nostri interessi e valori e per proteggere i nostri cittadini. Questa autonomia strategica, di cui bisogna sviluppare la componente relativa alla difesa e alla sicurezza, va a completamento delle nostre alleanze. Un’Europa più forte rafforzerà anche le nostre alleanze e, di conseguenza, i nostri alleati”, è la nuova linea. E nel suo intervento al Forum di Bled il riferimento a un proprio esercito è stato diretto: “Possiamo essere contenti di un’Ue che non è in grado di proteggere i proprio cittadini e i propri collaboratori?“, si è chiesto in riferimento alle operazioni di evacuazione dall’aeroporto di Kabul per cui l’Ue si è dovuta affidare ad altri Stati.
L’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell, è già al lavoro su una strategia pratica. La chiama la “Bussola strategica” per la difesa comune dell’Ue e la presenterà a novembre. L’obiettivo è approvarla a marzo, quando i capi di Stato e di Governo dei Ventisette si riuniranno proprio sulla questione. “L’Afghanistan ha dimostrato in modo impressionante che le carenze nella capacità dell’Ue di agire autonomamente hanno un prezzo. L’unica via da seguire è quella di unire le forze e rafforzare non solo le nostre capacità, ma anche la nostra volontà di agire. Ciò significa potenziare la nostra capacità di rispondere alle sfide ibride, colmare le lacune principali in termini di azione, anche per quanto riguarda il trasporto logistico, aumentare il livello di preparazione attraverso una formazione militare congiunta e sviluppare nuovi strumenti quali la “prima forza di intervento”, composta di cinquemila persone, di cui stiamo di fatto discutendo. Questa forza di intervento ci avrebbe aiutato a garantire un perimetro di sicurezza per l’evacuazione dei cittadini dell’Unione europea a Kabul”, ha spiegato al termine della riunione dei ministri degli Esteri e della Difesa a inizio mese.
Il piano è dunque avere un proprio mini-esercito per “tutelare gli interessi e i valori europei”. “Ciò di cui abbiamo bisogno è l’Unione europea della difesa”, ha rimarcato von der Leyen nel suo discorso sullo Stato dell’Unione. L’ostacolo però è superare il vincolo di unanimità. I ministri della Difesa sono impegnati in una discussione, che dovrà concludersi a novembre, sulla possibilità di sostituire l’unanimità richiesta per le decisioni d’intervento con una voto di maggioranza che darebbe il via all’intervento militare con la partecipazione solo degli Stati che lo vorranno.
In particolare, ad esempio, la Germania propone il ricorso all’articolo 44 del Trattato dell’Unione che permetterebbe la partecipazione alle operazioni in base alla volontà degli Stati. Non tutti i Ventisette, in sostanza, sarebbero costretti a prendere parte a una missione Ue. “Lo valuteremo ma l’articolo 44 richiede comunque una decisione unanime dal Consiglio e, poi, potranno partecipare alla missione solo coloro che lo vorranno. Non tutti devono partecipare ma tutti devono essere d’accordo”, ha spiegato Borrell.
Un esercito senza autonomia può però poco. Per questo l’Ue si sta muovendo per tutelare i propri interessi che non sempre combaciano con quello dei principali alleati, a partire dagli Stati Uniti. Esempio lampante è stato lo schiaffo dell’alleanza anti-Cina siglata tra Usa, Gran Bretagna e Australia.
“Un accordo di questa natura non è stato preparato l’altro ieri, richiede tempo. Ma non siamo stati informati, non siamo stati consultati. Lo deploriamo”, ha detto il capo della diplomazia europea, che tuttavia ha invitato a “non esagerare, a non drammatizzare”. “Questo non metterà in discussione il rapporto con gli Stati Uniti”, ha assicurato. Così come non intaccherà la cooperazione con Canberra e Londra, “anche se dai leader britannici non traspare tanto entusiasmo”. Ma le conseguenze ci saranno e secondo le fonti Ue “preoccupano”. Se ne parlerà nel dettaglio nella prossima riunione dei ministri degli Esteri che si terrà il 18 ottobre a Lussemburgo.
Intanto Parigi dove fare i conti con le conseguenze immediate: la risoluzione da parte dell’Australia del contratto per la fornitura dei sottomarini convenzionali a beneficio di quelli nucleari proposti da Stati Uniti e Gran Bretagna. “Per dirla in buon francese è davvero una pugnalata alla schiena”, si è lasciato andare indignato il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian. “Comprendo la delusione dei francesi”, ha evidenziato Borrell. “Questo accordo ci costringe ancora una volta a riflettere sulla necessità di essere indipendenti e di sviluppare l’autonomia strategica dell’Ue”, ha ribadito. La Francia ha poi richiamato i suoi ambasciatori negli Usa e in Australia.
“Il partenariato per la sicurezza di Usa-Gb-Australia dimostra ancora una volta la necessità di un approccio comune dell’Ue in una regione di interesse strategico. È più che mai necessaria una forte strategia europea per la regione indo-pacifica”, ha confermato Michel. L’Unione europea tenta di rilanciare con una propria strategia di cooperazione con la regione dell’Indo-Pacifico. “Una strategia di cooperazione con partner democratici che condividono i nostri valori, non una strategia di confronto” con la Cina, ha precisato Borrell. E resta valida la proposta di cooperazione con Pechino. “L’Ue vuole creare legami con i Paesi della regione, non creare dipendenze”, ha aggiunto.
“Questa regione è il futuro. L’Ue è il più grande investitore con 12 mila miliardi di euro, ovvero il doppio degli Stati Uniti, ed è il secondo mercato per le sue esportazioni”, ha affermato. “Il 40% del commercio con l’Ue passa attraverso il Mar Cinese e l’Ue ha interesse a preservare la libera circolazione per la navigazione in questa regione”, ha aggiunto. Per questa la strategia prevede anche una “presenza navale europea” che però non va intesa come una minaccia alla Cina.
Source: agi