Urne aperte in Australia per lo storico referendum teso a modificare la Costituzione, risalente al 1901, sancendo cosi’ il primo riconoscimento formale degli aborigeni. In quasi 18 milioni voteranno “sì” o “no” ai cambiamenti che riconoscerebbero per la prima volta i popoli indigeni nella costituzione e creerebbero un organo consultivo – la cosiddetta “Voce” – per valutare le leggi che riguardano quelle comunità.
Un voto che sta spaccando la nazione e ha alimentato campagne di disinformazione, propaganda e odio nei confronti di un gruppo di 984 mila cittadini – tra aborigeni e insulari dello stretto di Torres – pari al 3,8% della popolazione australiana. A tal punto che gli ultimi sondaggi danno il ‘no’ in netto vantaggio, con il 60% delle intenzioni di voto, contro il 40% a favore del ‘si”, invertendo totalmente la tendenza iniziale, invece favorevole al riconoscimento dei popoli autoctoni.
Intervenuto dal sito sacro aborigeno di Uluru, un gigantesco monolite rosso nell’Australia centrale, il premier Anthony Albanese ha cercato di convincere gli elettori scettici a sancire il riconoscimento delle popolazioni indigene nella Costituzione. Il capo del governo di centro-sinistra ha invitato i cittadini a mostrare “il meglio dell’Australia”, sostenendo la riforma costituzionale che rafforza i diritti degli aborigeni. “Quello che voglio vedere e’ il meglio dell’Australia. Siamo una grande storia di successo multiculturale”, ha detto Albanese all’emittente pubblica ABC, con Uluru sullo sfondo. La scorsa settimana, in un incontro con i rappresentanti delle varie confessioni religiose, il premier ha presentato il progetto come “un momento di unita’ molto commovente. Questo e’ il tipo di Australia che voglio vedere, un’Australia in cui siamo definiti dalla nostra unita’, non dalle nostre divisioni”.
Se nonostante l’annunciata sconfitta alla fine la riforma venisse approvata, gli aborigeni australiani – i cui antenati vivono sul continente da almeno 60 mila anni – saranno riconosciuti nella carta fondamentale e avranno il diritto ad essere consultati dal governo per le leggi riguardanti le loro comunita’, tramite un organo denominato “The Voice”, “La Voce”.
A piu’ di due secoli dalla colonizzazione britannica, i membri di queste comunita’ hanno un’aspettativa di vita inferiore di otto anni rispetto a quella degli altri australiani; sono in media piu’ poveri, piu’ malati o incarcerati e hanno meno accesso all’istruzione. I sostenitori del progetto affermano che dare voce ai popoli indigeni risolvera’ le disuguaglianze di cui sono stati e sono tuttora vittime, anche se il governo potrebbe ignorare le loro raccomandazioni. I difensori del “no” credono invece che la riforma manchi di precisione, aggiunga uno strato di burocrazia inutile, conceda privilegi speciali alle popolazioni indigene e alla fine farebbe poco per migliorare la loro sorte.
Il voto e’ obbligatorio per i 17,7 milioni di elettori australiani, pena una multa di 20 dollari australiani (12,10 euro). Per essere adottato l’emendamento deve ottenere la maggioranza dei voti a livello nazionale, ma anche in quattro dei sei stati regionali dell’Australia. Agli elettori verra’ chiesto di rispondere alla seguente domanda: “Progetto di legge: modificare la Costituzione per riconoscere i primi popoli dell’Australia stabilendo una voce aborigena e isolana dello Stretto di Torres. Approvate questa modifica proposta?”.
Se la riforma verra’ adottata, i dettagli del nuovo organismo “The Voice” verranno definiti successivamente dal Parlamento. Dovrebbe essere un organo permanente, scelto dagli aborigeni e dagli isolani dello Stretto di Torres, composto da popolazioni indigene provenienti da tutto il Paese. Tra i suoi poteri quello di presentare proposte al Parlamento e al governo o rispondere alle loro domande, ma non avrebbe potere di veto. (AGI)
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