AGI – Il nome, come sempre nelle fasi di sperimentazione, è impronunciabile: ChAdOx1 nCoV-19. Ma il vaccino messo a punto nei laboratori dello Jenner Institute dell’Università di Oxford, in collaborazione con l’Oxford Vaccine Group, e con il rilevante contributo tutto italiano della Irbm di Pomezia, è una delle speranze più concrete per debellare il coronavirus. Dopo il mezzo pasticcio dello studio clinico di fase III che “per errore” ha scoperto un’efficacia maggiore con una dose e mezza anzichè due dosi, il vaccino già in distribuzione da inizio gennaio in Gran Bretagna dovrebbe arrivare a breve anche in Europa: proprio oggi l’azienda ha chiesto l’autorizzazione all’Ema, e il via libera arriverà entro il 29 gennaio.
Il vaccino si basa sulla tecnica del “vettore virale”, ossia l’utilizzo di un virus simile a quello che si vuole prevenire ma non aggressivo, a cui si “incollano” le informazioni genetiche che si spera facciano scattare la risposta immunitaria dell’organismo. Ed è proprio questo che fanno nei laboratori di Pomezia: l’Irbm è uno dei leader globali nella produzione di vettori virali.
Questo vaccino in particolare utilizza un vettore virale di scimpanzé con deficit di replicazione basato su una versione indebolita di un comune virus del raffreddore (adenovirus), che causa infezioni negli scimpanzé e contiene il materiale genetico della proteina spike SARS-CoV-2. Dopo la vaccinazione, viene prodotta la proteina spike superficiale, la quale attiva il sistema immunitario affinché attacchi il virus COVID-19 se questo dovesse in seguito infettare l’organismo.
Il vettore adenovirus ricombinante (ChAdOx1) è stato scelto per generare una forte risposta immunitaria già da una singola dose e non è replicante, non può quindi causare un’infezione nell’individuo vaccinato. I vaccini prodotti con il virus ChAdOx1 si sono dimostrati ben tollerati, sebbene possano causare effetti indesiderati temporanei, come febbre, sintomi simil-influenzali, mal di testa o dolore al braccio. La capacità produttiva totale è attualmente pari a due miliardi di dosi.
Di certo per l’Italia soprattutto l’eventuale via libera a fine mese sarà una boccata d’ossigeno: al momento sono prelazionate 40,38 milioni di dosi, e proprio il siero di AstraZeneca avrebbe dovuto fare la parte del leone nel primo trimestre nei piani del commissario straordinario Arcuri. Perso il primo mese, si tratterà ora di accelerare per affiancare le 470mila dosi settimanali inviate da Pfizer e quelle, per ora poche decine di migliaia, che ha iniziati a inviare Moderna.
Vedi: AstraZeneca, come funziona il vaccino che parla (anche) italiano
Fonte: cronaca agi