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Artemisia Gentileschi, dal 16 novembre la mostra a Genova. Il talento e la forza

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Dal 16 novembre a Palazzo Ducale di Genova la mostra con 50 capolavori. Il curatore D’Orazio: “Un’artista del Cinquecento che è ancora oggi moderna”

Genova – «Il pubblico vedrà l’opera di una grande pittrice, in un autentico crescendo, sala dopo sala, anche nelle dimensioni dei dipinti». Lo storico dell’arte Costantino D’Orazio è il curatore della mostra “Artemisia Gentileschi. Coraggio e passione”, che si terrà a Palazzo Ducale dal 16 novembre al 1° aprile, promossa da Arthemisia con Palazzo Ducale, Comune e Regione e la media partnership de Il Secolo XIX. Dieci sezioni, 50 capolavori da tutta Europa e dagli Usa.

Artemisia Gentileschi ha conosciuto in anni recenti una grande successo a livello internazionale.

«Sì, Artemisia Gentileschi è diventata una star tanto quanto Caravaggio, fra il 2023-2024 in America ci saranno una quindicina di mostre su di lei. Aver ottenuto da Houston un meraviglioso ritratto di Artemisia fatto dal padre Orazio Gentileschi è stato un vero miracolo».

Come si spiega la sua fama?

«È un’artista molto seguita e studiata soprattutto all’estero, per il valore che le si attribuisce legato alla sua storia personale: viene violentata a 18 anni a Roma dal pittore Agostino Tassi però riesce, grazie al suo talento, a diventare una grandissima pittrice e a recuperare una reputazione che era stata inevitabilmente compromessa, nonostante lei fosse stata una vittima».

In quale veste la mostrerete a Genova?

«Nella prima sala presenteremo due sue versioni di “Susanna e i vecchioni”, quella del 1610, considerato il suo primo quadro nel 1610, realizzato ancora sotto l’egida del padre Orazio, e quella del 1649 – lei morirà intorno al 1653-’54 – uno degli ultimi quadri. Si capisce come Artemisia esordisca come pittrice molto legata alla maniera cinquecentesca e diventi poi un’artista moderna, che recupera le luci e le ombre caravaggesche ma soprattutto una consapevolezza della figura femminile rispetto agli uomini. È una donna che riesce da sola ad emanciparsi in un modo straordinario. Subìta la violenza, si sposa due giorni dopo la sentenza del processo, anche se il contratto di matrimonio, come spieghiamo nel catalogo, è stato firmato dal padre per lei mentre l’udienza era ancora in corso».

Si trasferisce così a Firenze, un’esperienza che viene raccontata nella mostra con due sale.

«A Firenze si capisce come lei sia una pittrice già molto matura, raffinata, che viene subito accolta alla corte dei Medici ed entra, prima donna, all’Accademia delle arti e del disegno e riesce a farsi strada con grande coraggio e forza, chiedendo anche anticipi, a recuperare i debiti che il marito contrae spendendo i soldi che lei guadagna con i suoi quadri. All’inizio è una pittrice che da Caravaggio e dal padre mantiene il gusto per i panneggi e per i corpi molto sensuali, ma non c’è ancora il dramma».

Quando cambia ulteriormente l’arte di Artemisia?

«Quando arriva a Napoli, da sola, dopo essersi liberata del marito, con l’unica figlia che le è rimasta, perché gli altri tre sono purtroppo morti e lì apre una bottega. Lavora da professionista, con dei collaboratori, le arrivano le prime commesse pubbliche, le tele aumentano di dimensioni, verrà invitata a Londra, non è più nemmeno la figlia di Orazio Gentileschi, è Artemisia e basta».

Nel percorso della mostra c’è spazio anche per un’esperienza speciale.

«L’affresco sul soffitto del Casino delle Muse che si trova sul colle Quirinale, nel palazzo Pallavicini Rospigliosi, che non è visitabile, è stato ricostruito con una videoproiezione in una forma raccontata. Il soffitto venne dipinto fra il 1611 e il 1612, da Agostino Tassi, che si occupa della quadratura, e da Orazio Gentileschi. All’interno del concerto raffigurato c’è anche Artemisia, l’unica spettatrice, abbigliata come una dama. Siamo nel settembre 1611, la violenza è avvenuta a maggio, come è possibile che i due lavorino ancora insieme dopo quell’avvenimento, anche se lui lo denuncerà a febbraio dell’anno dopo?».

Come si spiega?

«C’è chi sostiene che Orazio sarebbe stato all’oscuro della violenza ma appare impossibile. Orazio, oltre a maturare il desiderio di un matrimonio riparatore, probabilmente sta pensando anche a un’associazione d’impresa. È un capolavoro, centrale nel nostro racconto, perché non è possibile che su quel ponteggio non si sia parlato della questione».

L’arte di Artemisia viene spesso visto attraverso la lente della vicenda personale dell’artista.

«È un approccio della nostra epoca, nel caso di Artemisia, ma anche di Frida Kahlo, le pittrici del passato più popolari. Ma la mostra di Genova mette al centro della scena il suo talento».

Avete previsto anche una sezione sul caravaggismo a Genova.

«Mostriamo due versioni di Giuditta con la testa di Oloferne, quella di Orazio è stata dipinta a Genova. Si nota perfettamente come Artemisia abbia compiuto uno scatto rispetto alla tensione, all’emozione, all’espressione. Nel lavoro di Artemisia l’esperienza genovese di Orazio è fondamentale. A cura di Anna Orlando si potrà vedere una bellissima selezione di opere di artisti genovesi che hanno incrociato Orazio o hanno guardato a lui, consolidando il caravaggismo».

Di ANDREA PLEBE  -fonte: https://www.ilsecoloxix.it/