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Apple blocca i dati: perché l'App Tracking Transparency non riguarda solo la privacy

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Anticipata, apprezzata, contestata. Come atteso sin da giugno, Apple ha introdotto su iOS 14.5 (l’ultima versione del sistema operativo per iPhone) l’App Tracking Transparency. È una nuova funzione che chiede all’utente il consenso di tracciare i dati per fini pubblicitari su ogni singola app e sito web. Un blocco che potrebbe costare caro alle aziende che campano di pubblicità online e sul quale si sono già posati gli occhi delle autorità di vigilanza. Perché, oltre la privacy, il tema è la posizione privilegiata di Apple.

Come funziona

Quando si apre un’app o si accede a un sito da iPhone, spunta sul display un messaggio. Chiede all’utente il permesso di “tracciare l’attività”, sottolineando che applicazioni e compagnie terze “useranno i dati per misurare l’efficienza della pubblicità”. A seguire un’alternativa secca: “Chiedi all’app di non tracciarti” o “Permetti” di farlo.

Senza consenso, l’applicazione non potrà conoscere l’Idfa (Identify for advertisers), cioè un codice assegnato dalla Mela a ciascun dispositivo che permette di riconoscere l’utente e quindi di proporgli annunci personalizzati.

Le applicazioni, ha spiegato Apple, “possono sollecitare l’autorizzazione e l’utente può controllare in Impostazioni quali app hanno chiesto il permesso di tracciare i suoi dati e modificare in qualsiasi momento le proprie scelte”. Il percorso per farlo è: Impostazioni > Privacy > Tracciamento.

La versione di Apple

Apple ha affidato la sua versione a Erik Neuenschwander, responsabile della privacy degli utenti di Apple. In un’intervista a Reuters, ha affermato che il rifiuto degli utenti non è certo. Dipenderà da come gli sviluppatori sapranno spiegare le ragione del tracciamento. In altre parole: l’opzione c’è ed è a disposizione di tutti, ma non è detto che condizioni in modo pesante il mercato pubblicitario.

“Nel 2017 – ha ricordato Neuenschwander a La Stampa – abbiamo introdotto la Intelligent Tracking Prevention su Safari (un sistema che impedisce la profilazione incrociata sui siti web nel browser di casa Apple). Alcuni sostenevano che avrebbe distrutto il mercato della pubblicità online, che gli utenti Apple avrebbero perso qualsiasi valore per gli inserzionisti, e così via. Non è successo nulla di tutto questo”. Non c’è quindi un atteggiamento contrario alla pubblicità: “È fondamentale che gli sviluppatori abbiano la possibilità di usarla per monetizzare le proprie app. Tuttavia – ha aggiunto Neuenschwander – siamo convinti che lo si possa fare con strumenti adeguati, che da una parte rispettano la privacy degli utenti e dall’altra contribuiscono alla crescita dell’ecosistema delle app».

La versione dei contestatori

Da quando Apple ha annunciato la futura introduzione dell’App Tracking Transparency, molte società si sono allarmate. Dopo l’attivazione, nove compagnie, tra le quali Facebook e Axel Springer (editore di Bild e Die Welt) hanno denunciato la Mela alla Bundeskartellamt (l’Autorità tedesca che tutela la concorrenza). La decisione di Cupertino rappresenterebbe un abuso perché sfrutterebbe una posizione dominante per condizionare gli sviluppatori. In altre parole: chi produce lo smartphone fa le regole e gli altri non possono fare altro che accodarsi.

Le aziende temono che il calo degli introiti pubblicitari possa arrivare al 60%. Ma secondo Thomas Hoppner, legale e portavoce delle nove compagnie, a rimetterci saranno anche gli utenti. Per due motivi: senza tracciamento “dovranno dedicare più tempo alla ricerca per trovare offerte pertinenti”; con meno pubblicità, molte app saranno costrette a far pagare servizi che oggi sono gratuiti.

Le accuse di Facebook

Facebook, come conferma il caso tedesco, è tra gli avversari più accesi. Non sorprende, visto che la pubblicità (quindi i dati) è la fonte del suo fatturato. Lo scorso dicembre, la società ha acquistato pagine su New York Times, Wall Street Journal e Washington Post per contestare le nuove impostazioni sulla privacy.

All’inizio di gennaio, ha scritto un’e-mail a partner e clienti, affermando che l’impatto dell’App Tracking Transparency sarebbe stato “incisivo”. Le nuove impostazioni avrebbero avvantaggiato solo Cupertino e “danneggiato il settore”. Facebook si diceva convinto che “annunci personalizzati e privacy degli utenti possano coesistere”. Ma pur essendo in disaccordo, ammetteva che “non ci sono alternative” all’App Tracking Transparency.

Passano poche settimane e alla fine di gennaio, dopo aver diffuso la trimestrale, Manlo Park torna sull’argomento. Il responsabile finanziario, David Wehner, ha parlato di “correnti avverse” anche a causa dei “cambiamenti di piattaforme come iOS 14”. Zuckerberg ha messo da parte il linguaggio affettato per un attacco frontale: Apple è “una concorrente”, perché “utilizza la sua posizione di piattaforma dominante per interferire nel modo in cui le nostre app funzionano e favorire le proprie”.

Oltre la privacy c’è di più

Il tema della posizione dominante corre intrecciato con la privacy. A marzo, la French National Commission on Informatics and Liberty (l’ente francese che tutela i dati personali) ha avvitato un’indagine dopo un esposto di France Digitale (un gruppo che supporta gli interessi delle attività digitali transalpine). L’accusa: Apple non applicherebbe a se stessa le norme cui devono sottostare le terze parti. Cupertino ha infatti confermato che “non si vedrà la richiesta di tracciamento sulle app e sui sistemi” della Mela, perché “sono già progettati in modo tale che non tengano traccia degli utenti”.

L’App Tracking Transparency, quindi, non riguarda solo i dati. Isabelle de Silva, presidente dell’Autorità francese per la tutela della concorrenza ha chiarito di non poter intervenire “solo perché potrebbe esserci un impatto negativo sulle compagnie”. Lo farà, invece, in caso emergesse un trattamento “auto preferenziale” che favorisca le app di Apple e penalizzi quelle dei concorrenti. È la stessa linea del commissario europeo per la Concorrenza, Margrethe Vestager: bloccare il tracciamento non è, di per sé, anti-concorrenziale. Lo diventerebbe “qualora venisse dimostrato che Apple non tratta le proprie app come le altre”.

Il punto, al di là della bontà etica e delle ripercussioni economiche, è proprio questo: Apple sta giocando la partita con le stesse regole? Così un (importante) aggiornamento sulla privacy diventa anche (molto) altro. Di mezzo c’è una battaglia di potere tra grandi compagnie che difendono la propria posizione (Facebook contro Apple) e il tema della concentrazione di potere nell’universo digitale. 

Source: agi


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