“I miei personaggi sono tutti diversi perché mi piace non fossilizzarmi, rifuggo le etichette come la peste”. “Preferisco valutare i ruoli, non soltanto dalla lettura del copione ma valutando chi li propone, per instaurare da subito un rapporto basato sulla stima e sulla fiducia”. “Il mio è un ambiente alleggerito nell’ascolto e nello sguardo, povero ed ego-riferito; ma il mio mestiere per primo non può essere fatto se non si ha interesse dell’altro”
di Claudia Lo Presti
Sovente accade che attrici ed attori vengano ricordati, riconosciuti per un ruolo che essi abbiano interpretato nel corso di una carriera in cui si sono spesi anche in ruoli diversi. È questa certamente un’abitudine intrapresa dallo spettatore che assimila nella quotidianità quel personaggio facendolo partecipare alla propria vita, sperando di condividerne la sua. Del personaggio, intendo. Le stagioni delle fiction, i sequel dei film concorrono alla stabilizzazione di questo costume; un po’ come accadeva nella commedia classica, dell’arte, delle compagnie itineranti che adoperavano maschere consuete all’interno di una narrazione breve che potrebbe essere intesa come “puntata”. Accade; e i responsabili di questa identificazione siamo noi, quelli del pubblico che non immagina quanta fatica compia un attore per far ricordare di sé tutto il resto del lavoro. Non a tutti.
Antonella Attili resta indimenticabile nelle scene del “Nuovo Cinema Paradiso”, quando cuce e guarda, sorridendo con gli occhi, Totò che gioca a “fare i film” con i ritagli delle pellicole scartate da Alfredo (Philip Noiret); quando, dietro l’angolo di un’abitazione nei pressi del cinema, aspetta suo figlio che non ha ancora portato a casa il latte per la sorellina; e mentre procede lenta, camminando sulle macerie dei bombardamenti, con Totò per mano: aveva appena perduto la speranza, che l’aveva animata sino a quel momento, che suo marito sarebbe più tornato; Maria ha i macigni sul cuore ma tenta un sorriso di sbieco a Totò. Non occorre ricordare che questo film nel 1990 vinse l’Oscar e certamente la signora Attili con la sua indimenticabile interpretazione ha concorso all’ambìto riconoscimento. Fu bravo Giuseppe Tornatore a scoprire la fluidità del passaggio temporale dal volto di Antonella Attili a quello di Pupella Maggio: era per me la prima volta che vedevo l’attrice e non conoscendola ancora, pensai si trattasse di una parente dell’attrice napoletana.
Durante il suo percorso professionale, la signora Attili è divenuta molti altri volti per i quali ha saputo scegliere caratterizzazioni e repertori mimici sempre diversi.
È stata Matilde, mamma piuttosto assertiva di Riccardo Scamarcio e suocera ingombrante di Laura Chiatti in “Io che amo solo te” e “La cena di Natale”: le scene del panico in ascensore e per “il furto” dell’anello di smeraldo regalatole dal marito Michele Placido sono memorabili. In questi due film va molto oltre la vetrina patinata del suo ruolo, arricchendolo di una serie di spessori che definiranno non solo la madre, bensì la moglie che è adagiata in un’aria di comfort economico e familiare tale da renderla invincibile, sicurezza che manifesta senza alcun timore dei piani di confronto.
Eva Perrot, la palazzinara senza scrupoli del film “I peggiori”, con Vincenzo Alfieri e Lino Guanciale che lei fa riempire di botte e rapire: i primi piani su di lei definiscono in maniera cristallina la sua bravura nel recitare con una comunicazione gestuale che ancora una volta sa rendere indimenticabile il ruolo di questa donna che si muove assai al di là dei confini del codice penale. Cara ad Ettore Scola, nel suo ultimo film dedicato a Federico Fellini (Che strano chiamarsi Federico, 2013), è Wanda, una donna che fa la vita e viene invitata a salire in macchina con lui e Fellini durante (si racconta) le loro lunghe passeggiate curiose a cercare caratteri e personaggi reali. La sua scena si svolge sul sedile posteriore del taxi, mentre lancia di quando in quando sguardi fuori dall’auto confidando all’autista – forse in ascolto – i suoi dubbi riguardo a un uomo che le ha fatto delle promesse. È candida e sensuale, bellissima nel suo abito scollato, un po’ svagata e sognante come Giulietta Masina ne “Le notti di Cabiria”. E nuovamente l’intuizione dell’attrice che lascia una traccia solo sua.
Agnese Amato, la madre e capo famiglia che arriva a Milano da Partanna (provincia di Trapani), divenendo la sarta responsabile del “Paradiso delle Signore”, è la riscrittura dei cliché femminili meridionali. Antonella Attili racconta ogni giorno (in questo momento è impegnata nelle riprese della settima stagione che la vede ancora fra i protagonisti più amati) come davvero una donna forte e concreta possa crescere, mantenendo con orgoglio il proprio patrimonio morale nell’ambito di un cambiamento regionale, economico e sociale che non la lascia indifferente ma da cui qualche volta prende le distanze ricordando con nostalgia la sua terra.
Ricchissima la carriera della signora Attili voluta ancora da Tornatore, apprezzata da Ettore Scola e Pupi Avati, Antonello Grimaldi, Fatih Akim, regista turco-tedesco, Anthony Minghella. Nel 2021 e per due stagioni è Marilù nella fiction “Makari” per la regia di Michele Soavi tratta dai racconti di Gaetano Savatteri. Nel 2022 è nel cast del film di Davide Minnella, “La cena perfetta”. Da due stagioni recita dal vivo i monologhi nella trasmissione TV “Propaganda Live”. Tre le candidature ai nastri d’argento: nel 1999, come miglior attrice non protagonista per “Prima del tramonto”; nel 2020, come migliore attrice di commedia per Tolo Tolo; nel 2021, come migliore attrice di commedia per “Il ladro di cardellini”. Nel 2021 viene insignita del “Premio Ugo Tognazzi”…. Esistono espressioni, nel dialetto romano quanto in quello siciliano, con forti ma efficaci coloriture verbali per poterne sottolineare l’apprezzamento!
– Signora Attili, tutto com’è cominciato?
“Lo studio non era il mio primo interesse e i miei genitori non mi costrinsero mai ad esprimermi in modo diverso dalla mia natura. Sapevo che avrei voluto fare questo mestiere e provando alcuni provini per accedere alle Scuole di recitazione dovetti registrare la delusione di non essere accettata. Non mi diedi per vinta e intrapresi un percorso privato studiando con un’attrice di esperienza. Alcuni fra coloro che vennero accettati oggi non recitano più, hanno interrotto questo percorso. La mia indole da combattente, la mia ostinazione mi insegnarono che la vita è innanzitutto disciplina ed allenamento alle oscillazioni: questo mestiere ti può lasciare senza lavoro, passeggere zone d’ombra, ma la soluzione non è andare in corto circuito, piuttosto studiare, imparando anche dalle fasi di arresto che possono essere trasformate in fasi di approfondimento”.
– Quando avviene il suo debutto?
“Debutto nel ruolo di Lucia in “Cronaca” di Leopoldo Trieste, regia di Mario Ferrero, nel 1989 con Lino Capolicchio. Sino ad allora avevo lavorato in spettacoli di nuova drammaturgia, nel corso di uno dei quali mi vide Tornatore, piuttosto colpito dalla mia somiglianza con Pupella Maggio: dopo numerosi provini, fra i quali poteva considerarsi tale anche un invito a cena durante il quale ci lasciò parlare e ci osservò per tutto il tempo, mi prese per il ruolo di Maria da giovane in ‘Nuovo Cinema Paradiso’”.
– Quali elementi di valutazione adopera per scegliere fra i ruoli che le vengono proposti?
“Preferisco valutare i ruoli, non soltanto dalla lettura del copione ma valutando chi li propone, per instaurare da subito un rapporto basato sulla stima e sulla fiducia. Una carriera variegata non deve contenere innumerevoli personaggi, quanto quelli in cui ci si riconosce, che possono costituire una sfida. Ad esempio, la signora Agnese che interpreto dalla terza stagione de “Il Paradiso delle Signore”, mi ha permesso una elaborazione del personaggio perché dentro quei panni ci sto da diverse stagioni. E in una produzione di qualità come questa, ciò corrisponde ad una bella opportunità sia per me come attrice che per gli autori”.
– Attore e persona: quali le differenze in un’epoca che trasforma in vetrina sia il momento pubblico che quello privato?
“La persona è altro dall’attore: viviamo in un epoca in cui i reality hanno cambiato ogni percezione legata al cosa si è e si fa e al quando lo si è e lo si fa, vanificando la possibilità di mostrarci davvero per ciò che siamo, quando veniamo chiamati ad esserlo. Non sono schiava dei mezzi comunemente preposti a qualificarti “social”: non desidero seguire un filo diretto con tutti, scegliendo le persone con cui intrattenermi. Io faccio l’attrice e la forma più ampia di rispetto che riconosco per essere credibile per il pubblico, che mi segue e mi è affezionato, è quella di essere un attore credibile”.
– Come sceglierà i suoi prossimi personaggi e a cosa sta lavorando?
“I miei personaggi sono tutti diversi perché mi piace non fossilizzarmi, rifuggo le etichette come la peste. Sono sempre stata disposta ad interpretare ruoli con caratteristiche opposte; ma se si vale e non si ha paura, si va oltre. Oltre alle nuove puntate della settima stagione del ‘Paradiso delle Signore 7’, sono in attesa della programmazione di lavori già completati e di alcuni progetti che partiranno fra poco”.
– Dal 2021 il suo impegno come Ambassador di Terre des homme….
“Quella che mi lega a Terre des Homme è la consapevolezza di avvertire il richiamo di realtà infami di cui è protagonista, come martire, soprattutto l’infanzia. Nel 2021 sono stata investita dell’incarico di “ambassador” che ho accettato con molto coinvolgimento. Sono molto vicina a coloro che operano attivamente e non senza difficoltà in oltre quaranta paesi, rivolgendosi all’educazione e ai disagi dei bambini e delle bambine, creature innocenti vittime di piaghe come la guerra in Ucraina, l’infibulazione, i matrimoni precoci. Per quanto mi riguarda, ritengo che ogni aiuto, ogni sguardo rivolto verso il richiamo degli altri non è una goccia nell’oceano, ma un’attenzione da mantenere ad un livello di responsabilità costante. La differenza concreta risiede sempre nello stesso solco in cui coltiviamo le nostre certezze che temiamo di perdere se cominciamo a farci carico dei problemi dell’umanità. Un fatto certo è che non possiamo riuscirci da soli, e stare lì a lamentarci di quello che ci manca piuttosto che accorgerci di quello che abbiamo, pone fra noi ed il prossimo distanze incolmabili. Non voglio perdere la coscienza dell’esistenza di verità difficili che non appartengono al mio mondo: ho bisogno di conoscerle e di farne parte. Il mio è un ambiente alleggerito nell’ascolto e nello sguardo, povero ed ego-riferito; ma il mio mestiere per primo non può essere fatto se non si ha interesse dell’altro”.