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ANDARE AVANTI GUARDANDO INDIETRO

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La nascita del governo Draghi ha certamente cambiato le posizioni dei singoli partiti e potrebbe rivelarsi l’inizio di un processo di scomposizione e ricomposizione degli schieramenti politici. Forse ci avventuriamo in un nuovo percorso verso forze non più ideologiche di tipo novecentesco, ma basate su progetti e programmi, con idee e valori nuovi e una Next Generetion come gruppo Dirigente

di Antonino Gulisano

Questo nuovo governo è nutrito da tre culture politiche: liberale, conservatrice e liberalsocialista. Nonostante le differenze questa sinergia può traghettare l’Italia nel futuro, senza però dimenticarsi del passato Viviamo tempi interessanti. Nelle poche ore servite a formare il Governo Draghi, forse nessuno si aspettava che si sarebbe innescato un cambiamento che, attraverso onde telluriche successive, ha finito con il minare, trasformare e cambiare pressoché tutte le forze politiche in campo.

Il Movimento Cinque stelle ha una scissione e un nuovo leader. Ma con una destinazione finale: l’implosione. Se confrontiamo le tradizionali posizioni di questo partito con il programma Draghi, possiamo dire che una rivoluzione copernicana s’è compiuta. Lo stesso Partito democratico, che poteva pensarsi esente da stravolgimenti, avendo la linea più continuista rispetto al governo uscente, non riesce a elaborare una linea politica strategica e finisce per far dire al segretario Zingaretti: mi vergogno di questo partito, così cambia il segretario e apre, con Letta, una nuova stagione. Aspettiamo di vedere quali caratteristiche assumerà la nuova stagione che aspetta il PD dopo l’elezione di Letta. Gli stessi raggruppamenti più favorevoli a Draghi (+Europa, Italia Viva e Azione) si domandano qual è il loro futuro. Sta cambiando tutto. Perché e verso dove? Vediamo.

Il Governo Draghi è straordinariamente politico, nel senso intenso e ampio del termine, perché pur mettendo insieme partiti di diversa estrazione ideologica (senza creare però una coalizione), ha una fisionomia chiarissima (europeista, atlantica, liberal-democratica) e una visione del mondo distintiva.

Con un linguaggio matematico, diremmo che in un colpo solo Draghi oggettivamente ha fatto una sottrazione più che una somma, ristretto il raggio ideologico e programmatico dei partiti. Pensiamo a com’erano fino a qualche settimana fa e guardiamoli adesso; rispetto all’Europa, la gamma delle posizioni si è ridotta a una sola: adesione con convinzione; la gamma di posizioni rispetto al Recovery Plan si è ridotta anch’essa a una sola: sì al debito buono, cioè a provvedimenti che salvino le aziende e creino sviluppo; la gamma di posizioni rispetto alla politica estera, che prima inseguiva ogni filone possibile (Cina, Russia, Haftar, ecc.), adesso è una sola: quella atlantica.

Il campo ideologico del Governo Draghi (se così si può parlare di un governo all’insegna del pragmatismo, ma sappiamo che il pragmatismo non è l’assenza, ma il risultato di una specifica visione del mondo) è nutrito, appunto, dalle tre culture politiche, intese in senso ampio, liberale, conservatrice e liberalsocialista. Può sembrare strano mettere insieme queste tre culture, ciascuna fortissima per sé, e con un tasso elevato di auto-referenza, ma la loro evoluzione, ciascuna nel suo campo, le porta a una convergenza meno sorprendente di quel che si può pensare.

Un andare avanti che guardi indietro, perché chi è rimasto indietro non è perché non ha capito, ma perché il mondo che rispecchia ha la sua consistenza e un valore anche per il futuro.

La rivoluzione in corso, con cui la globalizzazione si è intrecciata è quella tecnologica, il cui driver (guidatore) di fondo è l’automazione. L’idea generale è quella di immaginare il mondo come una superficie liscia, senza confini, senza sedimentazioni storiche, senza culture proprie.

La globalizzazione, inoltre, crea poteri senza sovranità.

Questa asimmetria ha cominciato a cambiare direzione (Digital Services Act del 2020 dell’Unione Europea; Governo australiano contro Facebook; Democratici americani a favore della loro frammentazione), con una ripresa di potere degli stati. Questo processo, mentre indebolisce il potere dello stato, depotenzia i partiti e perciò la politica.

Il risultato della globalizzazione? Oltre alla spettacolare crescita della Cina e degli altri paesi sud-orientali, il mondo nel suo insieme sta meglio (vedremo quale sarà l’impatto del post-Covid, quando ci sarà un post-Covid).

Le disuguaglianze sono cresciute dappertutto, le Nazioni Unite (World Social Report 2020) affermano che nel 70% della popolazione globale è più forte di prima. E quali sono i driver (guidatori) delle ineguaglianze? Secondo l’ONU sono quattro: l’innovazione tecnologica; il cambiamento climatico; l’urbanizzazione e l’immigrazione internazionale.

Soffermiamoci sull’innovazione tecnologica, anche se riguardo all’immigrazione ci sarebbe da riflettere sulla circostanza che essa svuoti le comunità delle persone migliori, con più skill (competenze) e più vitalità. Il punto più critico è il lavoro: Apple capitalizza 2,2 miliardi di dollari e ha 147mila dipendenti; Wallmart ha 2,2 milioni di dipendenti e capitalizza solo 368 milioni di dollari. In sostanza, all’aumento del fatturato delle imprese non corrisponde un proporzionale impiego delle persone.

E le persone che vengono impiegate nelle grandi imprese tecnologiche, così come i nuovi lavori che nascono nelle piccole imprese tecnologiche, devono avere skill (competenze) elevati. La tecnologia apre a un nuovo mondo più creativo, più carico di aspettative, rigoglioso, dove c’è spazio per una nuova generazione di lavoratori fondata sulla conoscenza. Abbiamo però due problemi: i tempi/modi della transizione e il suo governo, se dev’essere pubblico-democratico o privato-tecnocratico. Anche questo è un capitolo da scrivere, mentre la realtà lo sta scrivendo per conto suo.

Quando il lavoro diventa irrilevante quali sono le sue conseguenze sociali? Non lo sappiamo ancora. Tema intricato, complicato, in rapido divenire, certo ineludibile.

Guardiamo a quel che rivela tutta la vicenda del Covid: da un lato ha riproposto in maniera plateale il ritorno dello Stato, e dall’altro ha riproposto il valore delle comunità locali.

C’è oggi una ri-territorializzazione di ogni cosa. Sono tornati preminenti gli interessi nazionali, prova ne sia che il modello economico che si va affermando in varie modalità, ma dovunque nella stessa direzione, è quello del “capitalismo politico”, che tradotto significa che non c’è più una contrapposizione di Stato e Mercato, su cui sono state fondate due ideologie contrapposte, ma un reciproco aiuto e riconoscimento. Non c’è spazio per un liberismo puro; tanto meno c’è spazio per le statalizzazioni, ma c’è spazio per qualcosa di nuovo, i cui contorni teorici e normativi sono ancora da scrivere, anche se la realtà li sta già scrivendo. Una delle teorie di Piketty in Capitale e Ideologia: la proprietà sociale.

Le disuguaglianze in Italia stanno crescendo anche adesso, ancor più adesso, in questi mesi del Covid. Nel secondo trimestre del 2020 l’indice di Gini, che misura la diseguaglianza, è arrivato al 41,1%, era al 36,5% nel primo trimestre (dati BankItalia, ndr) e cresce di 6 punti, un’enormità, rispetto all’anno prima.

La disuguaglianza va combattuta non con i redditi di cittadinanza, che trasformano la diseguaglianza in dipendenza, ma con il lavoro e gli investimenti, cioè con la creazione di opportunità per il maggior numero di persone possibile.

In questa idea di andare avanti guardando indietro del Governo Draghi si intravede un nuovo Progetto riformatore di Paese e di Politica (le istituzioni, la dimensione locale, le tradizioni che fanno identità, la famiglia, le comunità e quel che avendo vita secolare avrà pur una sua ragion d’essere) e mantiene le buone idee del socialismo democratico (la redistribuzione del reddito attraverso eccellenti sistemi di welfare; il valore non assoluto del profitto) c’è la nuova cultura politica del Paese. Designano il meglio che l’Occidente ha saputo costruire sul piano delle idee e il meglio che l’Occidente ha saputo dare al resto del mondo.

Il dopo Governo Draghi si avvia a una trasformazione di ciascuno dei partiti attuali o di qualcun altro a venire?

Certamente SI. È una scomposizione e ricomposizione degli schieramenti politici? Forse ci avventuriamo in un nuovo percorso verso Partiti non più ideologici di tipo novecentesco, ma partiti di Progetto e di Programmazione fatti di idee e valori, con una Next Generetion come gruppo Dirigente.  Viviamo tempi interessanti.