AGI – Prima di essere un obiettivo strategico per il presidente russo Vladimir Putin, nel corso dei secoli il Donbass ha interessato molti capi di Stato occidentali, tra cui Napoleone che ambiva a trasformarlo in un protettorato francese col nome ‘Napoleonide’. A ricordare l’importanza storica della contesa regione Ucraina, oggi al centro dell’offensiva militare di Mosca, è Martin Motte, direttore di studi della blasonata Ecole pratique des Hautes Etudes e membro dell’Istituto di strategia comparata.
Tornando indietro nel tempo, al quotidiano francese Le Figaro, l’esperto ha ricordato che sin dall’antichità il grano dell’attuale Ucraina era al centro degli interessi dei greci, ai quali poi sono succeduti romani, bizantini, vareghi, genovesi, veneziani, mongoli e gli ottomani, prima che i russi conquistarono la regione nei XVII e XVIII secoli.
“Già all’epoca, l’espansionismo russo preoccupava molto l’Europa occidentale. Fu proprio per arginarlo che sin dal 1710 la diplomazia francese pensava di sostenere i cosacchi ucraini contro Mosca. Poi sotto il Primo Impero sul tavolo ci fu anche la creazione di un protettorato francese in Ucraina che si sarebbe chiamato ‘Napoleonide’” ha riferito Motte. In realtà si trattava di un progetto poco conosciuto, sviluppato dal conte Hauterive, direttore politico del ministero degli Esteri, che nel 1812, anno della campagna di Russia, sottolineò la ricchezza agricola dell’Ucraina, insistendo soprattutto sull’interesse geostrategico della ‘Napoleonide’.
“Questo Stato costituirebbe una delle più forti barriere alle pretese della Russia sul Mar Nero e sul Bosforo. Respinta per sempre dal Mar Nero, la Russia sarebbe allora costretta a rinunciare ai suoi progetti di conquista” scriveva Hauterive, ma poi la disfatta di Napoleone portò in un’altra direzione.
Quarant’anni più tardi, fa notare Motte, l’intervento franco-britannico nella guerra di Crimea (1853-1856), rispondeva in parte alla stessa logica: bloccare i russi nel Mar Nero per impedirli di progettarsi nel Mediterraneo. Nel 1855, i franco-britannici riuscirono a prendere Sebastopoli, ma non avendo truppe sufficienti per andare oltre, dovettero accontentarsi di imporre alla Russia la smilitarizzazione del Mar Nero, ma la Russia si affrancò da tale clausola nel 1870.
Sin dalla nascita della città di Donetsk – fondata da un industriale gallese del settore della metallurgia, John James Hughes – e nei primi investimenti, gli occidentali furono molto interessati al Donbass: nel 1897, la prima grande azienda di Mariupol è stata costituita con il contributo di finanziamenti americani. “In realtà in origine furono proprio i russi a chiedere aiuto agli occidentali per compensare le proprie carenze industriali emerse durante la guerra di Crimea: erano stati duramente penalizzati dal loro armamento obsoleto e dalla mancanza di ferrovie” ha ricordato Motte.
Nel 1869, dietro richiesta russa, Hughes fornì degli scudi metallici e la sua fabbrica costituì il nucleo originale di Donetsk. Una delle due grandi acciaierie di Mariupol, la Illitch, fu fondata nel 1897 dalla Nikopol-Mariupol Mining and Metallurgical Society, co-finanziata dall’austriaco Adolf Rothstein, dalla Banca internazionale di San Pietroburgo e dall’americano Edmund Smith.
Per tutti questi investitori occidentali, il Donbass racchiudeva una serie di vantaggi economici: carbone, ferro (Ovest), porto di Mariupol per esportare la produzione, la vicinanza del fiume Don che ha dato il nome al Donbass e lo ricollega alla regione di Mosca.
“Rappresentava un asse privilegiato per chi voleva penetrare il mercato russo” ha analizzato lo studioso francese, sottolineando che negli ultimi anni “la tendenza dominante è stata erroneamente quella di vedere nel Donbass e nel Mar d’Azov solo una posto in gioco regionale, l’oggetto di oscuri litigi tra Russia e Ucraina, dimenticandosi che questa regione era stata un epicentro delle guerre del XX secolo”.
La Francia è stata uno dei Paesi che maggiormente ha avuto interessi da difendere nel Donbass: prima del 1914, i capitali francesi rappresentavano la metà degli investimenti stranieri in Ucraina, dove contribuirono alla modernizzazione militare della Russia. E’ per questo motivo che nel dicembre 1918 Parigi inviò delle truppe per appoggiare i russi bianchi contro i bolscevichi, ma nel giro di pochi mesi l’invasione fallì anche per via degli ammutinamenti nel Mar Nero.
Negli anni ’30, un eminente stratega francese, l’ammiraglio Castex, fece notare che per colpire la Russia in un punto particolarmente vulnerabile, bastava una progressione di 500 km partendo dal Mare d’Azov, che consentirebbe di raggiungere sia le più importanti colture di cereali che il principale bacino di carbone oltre a tagliare in due la strada del Caucaso, ovvero quella del petrolio.
Di fatto, durante la Seconda Guerra mondiale, Donbass e Mare d’Azov furono oggetti di pesanti combattimenti tra tedeschi e sovietici. Come ha ricordato nelle sue memorie il maresciallo von Manstein, comandante del gruppo di eserciti del Don nel 1942-43, “per Hitler questo spazio aveva un’importanza decisiva”.
A maggior ragione dopo la sua indipendenza nel 1991, l’Ucraina è tornata al centro delle mire strategiche della Russia, in quanto territorio che rappresenta un’apertura sul Mar Nero, ma è anche rotta commerciale e strategica di prima importanza che consente di raggiungere il Mediterraneo, dando pertanto a Mosca la possibilità di “sfuggire alla maledizione dell’isolamento continentale”.
Tornando indietro nella storia russa, Motte ha fatto notare come a partire dal XVI secolo i principi di Mosca hanno recuperato l’eredità dei vareghi – avventurieri svedesi che al IX secolo presero il controllo dell’istmo Baltico-Mar Nero, fondando il potente Stato Russo di Kiev – autoproclamandosi “zar di tutte le Russia”. L’indipendenza dell’Ucraina fu accolta come una catastrofe per la Russia, e, “ancora oggi Putin nega, contro ogni evidenza, l’esistenza di un popolo ucraino” ha ancora detto Motte, riprendendo un’espressione attribuita a Churchill secondo la quale “la Russia è un gigante al quale sono state tappate due narici”, ovvero il Baltico e il Mar Nero. Per questo motivo, la linea che da sempre struttura la sua politica consiste nel tentare di sbloccarle.
Tuttavia per l’analista francese dopo il declino delle sue miniere ed industrie, la guerra in corso dal 2014 – con un bilancio di 14 mila morti e 2 milioni di sfollati – e le pesanti distruzioni inflitte ora dall’artiglieria russa – con Mariupol rasa al suolo per l’80% – la regione del Donbass sarà un peso più che un punto di forza. In conclusione, proprio per questi motivi, secondo Motte i principali obiettivi dei russi non sono di natura economica ma strategica: la priorità di Putin è quella di conservare la Crimea – la base di Sebastopoli per essere influenti nel Mediterraneo – quindi significa il controllo del Mare d’Azov e di conseguenza dello stesso Donbass.
“Senza l’Ucraina, la Russia non è più una grande potenza” ha scritto il geopolitologo Zbigniew Brzeziński, motivo per cui l’unica speranza risiede in una soluzione negoziata per scongiurare tale scenario e le sue conseguenze, anche in termini di crimini di guerra contro gli ucraini.
Source: agi