Al Fermilab di Chicago, grande eccitazione per i risvolti dell’esperimento “Muon g – 2”, che ha confermato – con una precisione mai raggiunta prima – i risultati di un’indagine analoga condotta vent’anni fa al Brookhaven National Laboratory.
Sperando di non essere accusato di “body shaming”, devo dire che il muone è un cugino un po’ più… grassottello dell’elettrone (ha però la medesima carica elettrica), avendo una massa circa 200 volte quella di quest’ultimo, e decade in tempi brevissimi. I muoni di origine naturale vengono prodotti dalle interazioni dei raggi cosmici con l’alta atmosfera ma quelli nati negli acceleratori ci hanno regalato la quasi certezza che una Nuova Fisica è alle porte.
Senza entrare troppo nel dettaglio, questa particella si comporta come un minuscolo magnete: immerso in un campo magnetico, presenta un fenomeno molto simile a quello della trottola, il cui asse di rotazione oscilla a causa dell’interazione col campo gravitazionale. Anche la nostra Terra ha il medesimo comportamento, chiamato “moto di precessione”: l’asse terrestre – che è inclinato di 23.5° rispetto alla normale al suo piano orbitale – oscilla e compie un giro completo in circa 26.000 anni, motivo per cui, tra 14.000 anni, avremo per nord celeste la luminosissima stella Vega, nella costellazione della Lyra, e non più l’attuale stella polare.
È proprio il fenomeno della precessione del muone e la sua accuratissima verifica sperimentale al Fermilab ad aver attirato grande attenzione anche da parte dei media, in questi giorni.
I numeri che si utilizzano nella fisica delle particelle sono un po’ diversi da quelli cui siamo abituati. In questo caso, l’interesse si concentra sul cosiddetto “g–factor” del muone, la costante adimensionale che caratterizza la proporzionalità della “forza” del magnete interno rispetto a una “unità di momento magnetico” fondamentale.
Fu Dirac, con la sua famosa equazione (che per qualche strano motivo molti chiamano la “formula dell’amore”), a calcolare quanto dovesse valere questo “g–factor” teorico: esattamente 2.
Calcoli successivi più precisi hanno tenuto conto degli effetti derivanti dalle varie interazioni della particella con tutte le forze che sono presenti a livello microscopico (a parte quella gravitazionale che, in questo contesto, ha poco effetto evidente): quella nucleare (forte e debole) e quella elettromagnetica.
Insomma, nel calderone sono stati inseriti di volta in volta tutti – ma proprio tutti! – gli effetti previsti dal Modello Standard, la teoria quantistica che spiegherebbe quasi tutto del mondo infinitamente piccolo.
Alla luce di quanto detto, il valore teorico definitivo per il g–factor è quindi non più 2 bensì: 2.00233183620(86) (il numero fra parentesi corrisponde all’incertezza sulle ultime due cifre).
Viene considerata “anomalia del momento magnetico a” il risultato che si ottiene mettendo in rapporto tra loro la differenza fra questo valore ottenuto e il 2 calcolato da Dirac e 2 (possiamo anche chiamarlo errore relativo): a = (g – 2) / 2. Se vi armate di calcolatrice, per questo che è il caso teorico troverete: a = 0.00116591810(43).
Veniamo ora all’esperimento “Muon g – 2” (adesso si sa perché si deve leggere “Muon g meno 2) del Fermilab, che ha avuto un importante e fondamentale contributo italiano. Con una precisione mai raggiunta in passato, si è trovato il valore sperimentale del “g–factor” del muone. Esso vale: 2.00233184122(82), con una anomalia ‘a’ quindi pari a: 0.00116592061(41).
Penserete: “Ma i due numeri coincidono! L’anomalia prevista dalla teoria è uguale a quella trovata sperimentalmente, in pratica!”
Ecco, il problema sta proprio in quel “… in pratica.”. Perché il Modello Standard può regalarci il piacere di numeri precisi. Il motivo è di principio e sta tutto a livello teorico: non ci sono più “spiccioli di Modello Standard” da spendere ancora per arrivare a spiegare il valore sperimentale fino all’ultima cifra decimale, né sotto forma di particelle conosciute, né sotto forma di forze conosciute…
… a meno che non ce ne siano di ancora non conosciute, appartenenti però a una Nuova Fisica! Ormai si combatte sul filo della nona cifra dopo la virgola…!
Parlavamo di “quasi certezza”, all’inizio. Come viene quantificata? In unità di “sigma”, che è un indicatore statistico di soglia: quando il valore sperimentale raggiunge la fatidica “sigma 5”, l’evento studiato è reale e sicuramente non dovuto al rumore di fondo.
Combinando gli esperimenti legati al “Muon g – 2”, si arriva molto vicini al numero sperato: sigma 4.2!
Ciò significa che manca davvero pochissimo alla certezza che in gioco ci siano altre forze o altre particelle non previste dal Modello Standard… magari quelle che potrebbero spiegare anche la materia oscura…
L’indagine continua… Che vero piacere regala il fattore g della Fisica!
Source: agi