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Anche i grandi brand del food puntano sugli Nft

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AGI – Dopo l’arte, tocca al cibo. È l’ora o, se si preferisce, l’era degli NFT, i Non Fungible Token su cui oggi le aziende di mezzo mondo stanno cominciando a scommettere per rinnovare il proprio marchio, darsi una nuova identità, rinnovare la propria immagine e riproporsi “ripulite” e nuove sul mercato al fine di poter affrontare una competizione che si fa sempre più accanita.

Ma cosa sono, innanzitutto, gli NFT? Sono un certificato che dà l’autenticità digitale garantito tramite blockchain, ovvero un registro anch’esso digitale. Questo certificato, negli ultimi tempi, è servito per ridare nuovo valore a media e opere digitali, dando vita e alimentando al tempo stesso un settore che è al momento in forte espansione.

Nell’arte, i Non Fungible Token rappresentano dei certificati di autenticità che stabiliscono l’unicità e la proprietà di un’opera digitale al punto tale da poter garantire guadagni più stabili e sicuri agli artisti che la producono, anche se in ogni caso sono esposti ad un forte rischio di crollo improvviso.

Chi acquista un NFT riesce ad ottenere gli stessi diritti e la stessa qualità di una creazione o di un’opera proprio grazie alle informazioni che sono tracciate e garantite dal registro digitale, ovvero dalla blockchain. Di fatto, si tratta di strumenti tecnologici che si stanno rivelando sempre più un utile sistema per rivitalizzare il mercato digitale e i grandi brand.

Utilizzati originariamente, come detto, molto nel settore dell’arte (nel terzo trimestre del 2021 il mercato degli NFT valeva 10 miliardi di dollari), oggi sembrano interessare sempre più anche i grandi marchi del settore gastronomico.

Qualche esempio? Più oltreoceano che made in Italy, per il momento. Ad esempio, Campbell’s Soup, la mitica ditta delle lattina resa famosa dalla serie di 32 riproduzioni serigrafiche realizzate dal pittore Andy Warhol nel 1962, ha deciso di rifarsi il look dopo tantissimi anni per puntare proprio sui Non Fungible Token. Anche perché – come ha messo in evidenza il marketing aziendale – “il nostro target sono proprio i giovani, che cucinano più che mai, continuando a onorare la nostra storia”, tant’è che una lattina rinnovata alla fine rende omaggio “al nostro posto nell’arte e nella cultura pop”. In questo caso, le Cambell’s hanno sempre rappresentato essere delle vere e proprie lattine da collezione, che con l’arte ha molto a che fare.

Ma non è tutto, anche la birra Bodweiser ha finito per creare una linea digitale delle lattine più famose e rappresentative, che è andata letteralmente a ruba. Mentre la startup Yahyn, che è una piattaforma per comprare all’asta ottime bottiglie di vino – anch’esse più da collezione che da sorseggiare – utilizza gli FNT per raccogliere fondi o collezionare pezzi unici di arte digitale.

Ma anche i ristoranti sembrano non essere affatto alieni al fascino degli FNT. E ci investono con determinazione. A New York, ad esempio, sta per aprire i battenti il primo ristorante NFT al mondo, il Flyfish Club, genere esclusivo e tutto a base di pesce, che appartiene al gruppo VCR. Si tratta di un club esclusivo quanto mai privato, a cui potranno accedere solo quegli avventori che abbiano preacquistato degli NFT. Ovvero? Il concetto è quello di un ristorante in cui l’autorizzazione all’accesso è verificata solo tramite blockchain, il che – secondo i titolari – rappresenta una grande evoluzione del mondo della clientela e del suo stesso concetto. E al tempo stesso si tratta anche di una sua iperselezione qualitativa e quantitativa in termini di disponibilità solvibile.

A fare i conti si scopre infatti che, allo stato attuale, sono già più di 1.500 i token venduti – per un ristorante che è allo stato attuale è tutto di là da venire e di cui si sa davvero ben poco – al costo di 2,5 Ether, una criptovaluta o moneta digitale che dir si voglia, oppure al valore di 8.200 dollari per un accesso che sarà illimitato alla sala da pranzo, al ristorante, al cocktail bar o al giardino all’aperto.

Source: agi


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