"Voglio essere parte civile".  La verità del medico che rifiutò di riaprire l'ospedale di Alzano


AGI – Dopo la pensione, gli strascichi di una forma severa di Covid e la depressione – “io che non piangevo mai” – seguita a quello che “ho subito per essermi opposto alla riapertura dell’ospedale”, Giuseppe Marzulli, l’ex direttore medico dell’ospedale di Alzano Lombardo, è pronto a costituirsi parte civile in un eventuale processo nato dall’indagine della Procura di Bergamo.

“Parte civile contro la Regione Lombardia – precisa all’AGI il teste chiave dell’accusa nella parte dell’inchiesta con al centro i reati di epidemia colposa e falso – perché le indicazioni di riaprire sono venute a livello regionale ma, leggendo le carte in questi mesi, ho maturato l’idea che le responsabilità più gravi di quello che è successo ricadano sul Ministero della Salute”. 

“L’ordine di riaprire fu solo verbale, non ci sono pezzi di carta”

Marzulli è l’uomo che, il 23 febbraio 2020, decise di chiudere il pronto soccorso del ‘Pesenti Fenaroli’ e l’ospedale ai visitatori per la presenza di due pazienti Covid, poi deceduti. A poche ore di distanza venne riaperto “per ordine dei vertici aziendali e regionali” e da lì, questa l’ipotesi della Procura che indaga diversi dirigenti per questo capitolo dell’indagine, si diramò un focolaio devastante in Val Seriana che ha portato  Bergamo a diventare  una delle province più aggredite dal virus nel mondo.

“Ora ritengo che sia giusto parlarne perché l’opinione pubblica viene tenuta all’oscuro di quanto accadde – dice – mentre un pool di magistrati indipendenti e coraggiosi, non accontentandosi delle apparenze, approfondisce cosa successe nelle prime fasi attraverso un’indagine molto laboriosa e complessa. Sono così emerse tutta una serie di errori e omissioni a livello istituzionale che erano evidenti per chi si è trovato a gestire la prima fase pandemica. A Bergamo esplose una ‘bomba atomica’ ma non ci sarebbero stati tanti morti se Regione e Ministero si fossero comportati diversamente”.
Secondo Marzulli “non esistevano le condizioni per riaprire l’ospedale e io mi rifiutai di farlo. L’ordine di farlo arrivò in modo solo verbale, non ci sono pezzi di carta; per questo gli investigatori faticano a capire chi lo diede materialmente. Qualcuno tra i partecipanti alla riunione che precedette la decisione ha provato a dire che eravamo tutti d’accordo ma non era così e infatti io non ho ricevuto alcun avviso di garanzia”.

“La rabbia aumenta col passare del tempo”

Prima ancora della riapertura, giunsero quelle che definisce “le indicazioni sbagliate del Ministero della Salute. Con la circolare del 22 febbraio 2020 e quelle successive si stabiliva che, in assenza di sintomi, il test per la ricerca del virus non andava eseguito. Questa affermazione era in palese contraddizione con quello che noi stavamo osservando. Era evidente fin da subito che l’infezione era sostenuta anche dai pazienti asintomatici. Gli ordini da Roma venivano impartiti da persone che avranno anche avuto una buona conoscenza teorica ma che non vedevano quello che stava succedendo nella pratica”.

Una settimana dopo il suo ‘no’, Marzulli venne colpito dal Covid. “Stavo molto male, anche dopo essermi negativizzato, ma decisi di andare lo stesso a lavorare nonostante la polmonite. Non potevo lasciare soli i miei colleghi. Non ho paura a definirci degli eroi perché lo siamo stati. Senza mascherine, tamponi, piani operativi. Col passare del tempo aumenta la rabbia per le condizioni in cui fummo costretti a combattere e, per di più, mentre gli altri venivano indicati come eroi, il messaggio della stampa erano che noi eravamo gli stupidi dell’ospedale riaperto”.

“Le colpe del Ministero in un Paese del tutto impreparato” 

A 63 anni Marzulli ha scelto la  pensione “dopo che si tranquillizzò la situazione”. “Sarei rimasto ancora se non fosse successo quello che è successo? Non lo so, avevo gli anni di contributi per andarmene, forse sarei andato a lavorare altrove. Di certo il clima intorno a me e coi miei superiori era cambiato. In questi mesi di faticoso ritorno alla vita – riflette –  mi sono reso conto del ruolo del Ministero. Mi è bastato leggere le circolari e le comunicazioni, non c’è bisogno di grandi ricerche. Il problema non è che il piano pandemico era vecchio ma che non è stato applicato nemmeno quello. L’impostazione in linea generale di ciò che si doveva fare c’era già tutta in quel documento del 2006 ma non è stata seguita. In quei giorni succedevano cose clamorose. Come riportato dalla stampa, il 15 febbraio 2020 da Brindisi partirono gli aerei italiani per portare migliaia di mascherine in Cina, mentre qui mancava tutto”.

Nell’ospedale di Alzano dal momento della scoperta del virus alle circa due settimane che trascorsero prima che diventasse un presidio solo Covid “il 30 per cento dei dipendenti si ammmalarono e tre di questi morirono, oltre a una decina di pazienti deceduti”.     

Molto critico col ministro Roberto Speranza: “E’ andato in Parlamento a vantarsi di avere scritto il piano pandemico nuovo. Ma com’è possibile farsene un merito per averlo fatto a un anno dall’inizio del Covid e dopo 100mila morti?”. 

Marzulli ora sta meglio. “Per molti mesi ho sofferto dei postumi del Covid, faticavo molto e ho avuto una sindrome depressiva. Piangevo, io che prima non lo facevo mai. Perché è una malattia tremenda e per quello che ho subito negli ultimi mesi, l’angoscia che portavo nel cuore quando entravo in ospedale. Non ho ricevuto mobbing ma il clima non mi era favorevole”.

 Cosa si aspetta dalla giustizia? “Che emergano la verità dei fatti e le responsabilità istituzionali. L’Italia arrivò del tutto impreparata all’appuntamento col virus”.          

Source: agi